1. IL CINEMA DEI GIUSTI
2. UNA COMMEDIA BUONISTA CON PIÙ SORRISI CHE RISATE
Maurizio Cabona per il Messaggero
Tolo Tolo di e con Checco Zalone non fa né ridere, né piangere. Il prologo pugliese funziona e strappa il sorriso, se non la risata. Il resto del film è monotono, salvo i siparietti dell'arrampicatore sociale e politico (l'ottimo Gianni D'Addario), mezzo Conte e mezzo Di Maio. Tutto questo occupa mezz'ora. La restante ora, quella africana, sta tra il drammatico non credibile e il comico non riuscito. Nemmeno la telefonata dalla famiglia a Checco in mezzo a un combattimento si sottrae ai limiti sia di sceneggiatura, sia di regia.
PIETRO VALSECCHI CHECCO ZALONE
Zalone come sceneggiatore patisce l'altro sceneggiatore, Paolo Virzì; Zalone come attore patisce l'identità con Zalone regista. Non che ultimamente il suo sodalizio con Gennaro Nunziante fosse felice come al tempo di Cado dalle nubi. Ma ci sono debolezze che non vengono punite: peggiorando i loro film, erano migliorati gli incassi... Secondo questo principio di proporzionalità inversa, Tolo Tolo potrebbe incassare quanto Sole a catinelle o Quo vado?.
3. CRUDELTÀ E SGRADEVOLEZZE SULLE ORME DI ALBERTO SORDI
Paolo Mereghetti per il Corriere della Sera
CONFERENZA STAMPA DI TOLO TOLO - CHECCO ZALONE
Chi cambia questa volta è il regista-sceneggiatore che non si limita più ad offrire al suo protagonista l' occasione per una risata, ma lo spinge verso un' altra direzione, costringendolo a misurarsi con qualcosa su cui in passato avrebbe preferito chiudere gli occhi o sorvolare con una battuta.
E lo fa sia a livello di scrittura che di regia. L' esempio perfetto del primo è la tentazione mussoliniana, l' identificazione ducesca che trasfigura Zalone quando sembra non sopportare più la vicinanza con i migranti.
Poteva essere una gag da lasciar interpretare al pubblico e invece il film si incarica di spiegarne il significato citando il Primo Levi di Se questo è un uomo , dove si legge che «la convinzione [che ogni straniero è nemico] giace in fondo agli animi come una infezione latente» pronta a venire a galla nei momenti di difficoltà. «Come con la candida», chiosa Zalone che non può evitare la battuta, ma la citazione da Levi è letterale e il messaggio non può arrivare più diretto e più chiaro.
4. ALTRO CHE RAZZISTA IL NUOVO ZALONE TORNA CON UN FILM «TERZOMONDISTA»
Cinzia Romani per il Giornale
Sembra girato da Papa Bergoglio. Del resto, è al Papa per primo che Luca Medici, nome anagrafico dell' ammazzasette del box-office, mostrerebbe il suo film. Dove i problemi dell' Africa nera e delle sue masse migranti vengono risolti con empatia, spirito d' accoglienza e buonumore. Porti aperti a Ong e barconi, dunque e un filo conduttore terzomondista per questa fiaba dal sapore politico che rovescia le aspettative, diciamo sovraniste, legate alla clip Immigrato, diffusa per battere l' acqua al film.
Da furbo uomo di spettacolo, il comico pugliese prima ha suscitato polemiche intorno alla sua canzone, presa sul serio dai progressisti zelanti che gli hanno dato del razzista e prime firme scomodate sui giornaloni, per discettarne -, poi ha servito il suo lavoro sulla società multietnica.
Per la prima volta in corsa da solo, senza il fido Gennaro Nunziante a dirigerlo, Zalone si prende un sacco di soddisfazioni, compresa quella di un finale disneyano surreale e d' una scena-chiave, in cui migranti in mare se la giocano alla Esther Williams: mancano soltanto le cuffie a fiorellini. Altro che disperati dei barconi: qua ci scappa da ridere e pazienza se i più tradizionalisti, che detestano la società multietnica, verranno delusi. Magari potranno cantare «da qualche parte del planisfero, c' è sempre uno stronzo un po' più nero».
5. ALTRO CHE RAZZISTA ZALONE SPIAZZA TUTTI: I BUONI SONO GLI AFRICANI
Natalia Aspesi per la Repubblica
Mossa pubblicitaria da premio Agorà, rivolta allo sciocchezzaio oceanico in costante attesa del facile nutrimento, il trailer con la canzoncina celentanica Immigrato (basta la parola!) ci ha del tutto ingannato: non un nanosecondo corrisponde al film, e in questo modo lei ha messo in subbuglio un grande Paese che avrebbe altre grane cui dedicare l' eventuale ingegno, ma che poi sceglie di lasciar perdere l' irrisolvibile e di dedicarsi all'inutile.
La stessa emozione che provai piccina quando mi portarono a vedere Biancaneve e i sette nani , l' ho riprovata ieri, canuta da decenni, per Tolo Tolo , il primo dei film di Zalone che osavo affrontare. Si sa noi pseudo elegantoni non si andava a vedere quel comico se non allo Zelig, anche perché i critici, che oggi definiscono il nuovo film chi un capolavoro, chi un grande film, chi mi ha fatto ridere e piangere (vedi Facebook), lo trattavano prima con distacco, tanto più che la folla entusiasta traboccava dalle sale superando anche i filmoni americani, il che non è mai un buon segno per i cultori del grande cinema
6. IL PROMO DELLO SCANDALO È MEGLIO DEL FILM
Giorgio Carbone per Libero Quotidiano
Premessa necessaria. Tolo Tolo di Zalone non c' entra un tubo col promo interpretato dallo stesso Zalone che ha irritato molte anime belle. Il promo è stata una furbata (divertentissimo, splendidamente offensivo per i sacerdoti del politicamente corretto). Se il Checco sviluppava il promo all'ora e quaranta poteva venire fuori la cosa irresistibile. E certo una zalonata come Dio comanda.
Il Tolo Tolo è invece una cosa diversa, un commedione che aspira al respiro epico. Ma ci volevano polmoni che il Checco non ha e che mai avrà (la sua dimensione è quella del bozzetto sull' Italia piccola, non toccata ma solo sfiorata dai grossi problemi).
Nessuna anima bella sarà turbata. Tutta la storia è all' insegna del buonismo.
Nella visione zalonesca, il dramma dell' emigrazione è vissuto (e infatti finisce) come un cartone animato. Gli africani non sono né buoni né cattivi, ma solo sfigati. Dalla nascita. Perché i bambini neri li porta da sempre una cicogna strabica.
Si ride? Sì, si ride perché la verve comica è sempre straripante (non riuscirebbe a frenarla nemmeno lui manco a volere). Ma qui è come appesantita, condizionata dal contesto che è troppo drammatico per fornire solo da spunto per allegre cialtronate. Ogni cinque minuti la narrazione stagna in quasi melodramma.
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