UN BOSS SOTTO STRESS - L'EX SICARIO DELL'ALLEANZA DI SECONDIGLIANO, GENNARO PANZUTO, OGGI COLLABORATORE DI GIUSTIZIA, SU TIKTOK “AFFRONTA” LA CAMORRA E PRENDE DI PETTO I CRIMINALI: “CAPITA CHE QUALCUNO MI INSULTI, MI MINACCI. E IO RISPONDO A TONO. NON HO PAURA DI QUESTA GENTE. CERCO DI DIRE CHE I CAMORRISTI SONO UOMINI SENZA ONORE. TANTI MI VOGLIONO MORTO, MI SEGUONO PASSO PASSO. SANNO COME MI MUOVO. PER LORO È DIVENTATO UN PUNTO D'ONORE, DIREI QUASI MORALE AMMAZZARMI…”

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Simone Di Meo per Dagospia

 

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Gennaro Panzuto arriva all'appuntamento a piedi. Indossa una camicia sgargiante e ha calato sul volto un berretto. È da solo. Ci incontriamo in un bar di Chiaia, il quartiere dell'alta borghesia cittadina. Panzuto è uno dei più importanti collaboratori di giustizia degli ultimi anni. È stato un sicario spietato agli ordini dell'Alleanza di Secondigliano, il cartello mafioso che oggi comanda a Napoli, di cui ha raccontato misfatti e segreti.

 

Ora, «Genny terremoto» da cacciatore è diventato preda. I suoi ex amici gli sono alle costole, e cercano solo l'occasione buona per abbatterlo. «Tanti mi vogliono morto», spiega, «l'elenco è lungo: i Piccirillo, i Frizziero, i Mazzarella, i Licciardi, i Contini...». La strada è trafficata e ogni moto che romba nelle vicinanze potrebbe essere quella di un killer. «Mi seguono passo passo. Sanno come mi muovo, che cosa faccio», aggiunge, «per loro è diventato un punto d'onore, direi quasi morale ammazzarmi». Panzuto non ha increspature nella voce. «Se non mi eliminano, perdono credibilità. Ogni giorno in più di vita per me è uno smacco per la camorra».

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La paura di morire, dice, l'ha superata da tempo. «È un timore che ho metabolizzato. Ogni tanto ci penso, ma non è nelle mie possibilità evitarlo. Mi sono affidato a Dio. Se Lui decide che è arrivato il momento, sono pronto». Il campanello d'allarme suona già da qualche mese. Sembrerebbero esserci almeno cinque killer di Secondigliano che girano nel rione in cui solitamente si muove Panzuto. Si spostano in branco. Vanno a caccia. Cercano lui.

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«Sanno che sono vulnerabile perché sono stato costretto a tornare a Napoli assumendomene tutti i rischi. Mi trovo qui ma non dovrei esserci. Perché? Chiedete alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, alla Procura nazionale antimafia e il Servizio centrale di protezione. Il protocollo è chiaro: un collaboratore può tornare alla vita normale solo quando il clan di appartenenza è ormai inoffensivo. Nel mio caso, le cosche che ho colpito con le mie dichiarazioni sono tutte più pericolose di prima».

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Panzuto ha lasciato il regime di protezione nel 2020, «in pieno lockdown», specifica. «Mi hanno dato 23 mila euro e dal Servizio centrale pretendevano che con quei soldi mi affittassi una casa. E come potevo senza una referenza, senza una busta paga? Non ho mai lavorato durante il periodo della collaborazione, come pure avrei potuto e voluto, e questo mi ha impedito di rifarmi una vita». La delusione è tanta.

 

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Adesso Panzuto vive a casa dei genitori. Cerca di arrangiarsi come può. «La mia posizione rende tutto più difficile», sottolinea, «e paradossalmente se anche trovassi un sant'uomo che mi assume, diventerei automaticamente un bersaglio. Andando a lavorare tutti i giorni in un posto fisso, firmerei la mia condanna a morte». Frattempo, «Genny terremoto» continua a collaborare con l'autorità giudiziaria.

 

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«Non solo partecipando ai processi in cui sono testimone», puntualizza. «Sono diventato un punto di riferimento per tante persone. Alcune delle quali ancora operano nel mondo della malavita. Mi cercano, mi parlano, mi fanno confidenze. E io queste informazioni, per senso di giustizia, le giro ad alcuni poliziotti che lavorano in Questura». Spesso sono gli stessi agenti a rivolgersi a lui, sostiene Panzuto, per raccogliere notizie su estorsioni e omicidi.

 

«Provo sempre a dar loro una mano mettendo a disposizione quelle che ancora restano le mie conoscenze sul territorio. Recentemente ho avuto, ad esempio, contezza di un omicidio del 2009 e ho riferito quel che mi hanno raccontato su mandanti ed esecutori». Ci sarebbe il contributo dello stesso Panzuto pure nel ritrovamento di alcuni reperti collegati a un sequestro sfociato nella uccisione di un giovane innocente a Pianura, quartiere della periferia occidentale del capoluogo. «Per quel che posso, sono a disposizione. È il mio modo di espiare i danni che ho fatto nella mia precedente esistenza».

 

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In questo tempo sospeso, Panzuto ha scoperto TikTok. La mano che prima impugnava la pistola, oggi brandisce un telefonino. E con questo porta avanti la sua particolarissima guerra alla malavita.

 

«I social network sono il mio specchio, lì faccio i conti coi miei fallimenti di camorrista. Ma sono anche lo strumento attraverso cui infondo coraggio a tante persone e a tanti commercianti a non piegarsi alle pretese del crimine».

 

Commenti, condivisioni e like ne hanno fatto una piccola star del web. «Chi mi vede in strada, sa che potrei morire da un momento all'altro. E allora si dà coraggio e denuncia i soprusi». L'ex killer dell'Alleanza di Secondigliano usa TikTok anche per vecchi regolamenti di conti. «Capita che qualcuno mi insulti, mi minacci. E io rispondo a tono. Non ho paura di questa gente. Cerco di trasmettere il mio coraggio agli altri per dire che i camorristi sono uomini senza onore. Non bisogna averne paura».

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L'ultimo pensiero è per le paranze di giovanissimi che infestano la città. «I miei video sui social servono a demolire questi giovani disperati che, ispirandosi ai boss di Gomorra, pensano di vivere in un videogioco. Non sanno di essere marionette nelle mani di persone molto più furbe di loro».

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