DOPO 15 ANNI IL CASO DI ELUANA ENGLARO NON E' ANCORA CHIUSO - LA CORTE DEI CONTI HA CONDANNATO L'EX DIRETTORE GENERALE DELLA SANITÀ LOMBARDA, CARLO LUCCHINA – SECONDO I GIUDICI LA "CONCEZIONE PERSONALE ED ETICA DEL DIRITTO ALLA SALUTE" SPINSE L'EX DG A IMPEDIRE CHE ALLA ENGLARO (MORTA NEL 2009) FOSSE INTERROTTO IL TRATTAMENTO CHE LA MANTENEVA IN STATO VEGETATIVO – LUCCHINA DOVRÀ PAGARE ALL'ERARIO I 175 MILA EURO CHE IL PIRELLONE AVEVA DOVUTO RISARCIRE A BEPPINO ENGLARO…
Estratto dell’articolo di Giuseppe Guastella per il “Corriere della Sera - edizione Milano”
È stata una «concezione personale ed etica del diritto alla salute» a spingere l’allora direttore generale della Sanità della Lombardia Carlo Lucchina ad impedire che ad Eluana Englaro fosse interrotto il trattamento che la manteneva in stato vegetativo. Lo scrive la Corte dei conti che ha condannato in appello Lucchina a pagare all’erario circa 175 mila euro che la Regione aveva dovuto risarcire a Beppino Englaro il quale era stato costretto a traferire la ragazza in una struttura sanitaria in Friuli dove morì.
«Non è stata un’obiezione di coscienza, ma sono state applicate le direttive arrivate anche dell’avvocatura regionale», afferma l’ex dg che valuterà se ricorrere in Cassazione. A più di 15 anni dalla morte, la triste vicenda di Eluana Englaro non si è ancora conclusa definitivamente. La donna si spense il 9 febbraio nel 2009 a 39 anni di 17 dei quali trascorsi in stato vegetativo irreversibile dopo un gravissimo incidente stradale.
L’anno prima, Beppino Englaro si era visto negare la possibilità di interrompere l’alimentazione artificiale che teneva in vita sua figlia dal direttore generale Lucchina nonostante nel 2007 la Cassazione, con una sentenza storica, avesse stabilito che ciascun individuo può rifiutare le cure alle quali è sottoposto se le ritiene insostenibili e degradanti, e nel 2008 la Corte d’appello di Milano su questa base aveva autorizzato la interruzione del trattamento.
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Quando Beppino Englaro chiese come tutore di staccare il sondino con cui veniva alimentata la figlia, il direttore generale firmò una nota che diceva che le strutture sanitarie si occupano della cura dei pazienti, il che comprende la nutrizione, e di conseguenza i sanitari che l’avessero sospesa sarebbero venuti «meno ai loro obblighi professionali».
Englaro si rivolse al Tar che nel gennaio 2009 accolse la sua richiesta, ma la Regione non diede corso alla sentenza ed un mese dopo Eluana morì in una struttura di Udine dove furono fermate le cure. La Regione fu condannata a pagare circa 175 mila di euro per i danni subito dalla famiglia Englaro, comprese le spese per il ricovero in Friuli.
Dopo che nel 2017 la sentenza del Tar divenne definitiva, la Corte dei conti avviò un procedimento erariale nei confronti di Lucchina. Fu assolto in primo grado dai giudici secondo i quali la sua decisione era stata «ponderata» a seguito di un’istruttoria dell’Avvocatura del Pirellone e dopo un comunicato stampa del Ministero della salute secondo i quali le strutture sanitarie regionali non erano obbligate a sospendere l’assistenza.
Verdetto ribaltato dai giudici d’appello che, su ricorso della Procura guidata da Paolo Evangelista, hanno stabilito che l’amministrazione sanitaria non può negare il diritto di rifiutare le cure tutelato dalla Costituzione. La Corte, precisando di non giudicare le convinzioni etiche del dg, definisce il no una «patente violazione dei propri doveri di servizio», un «rifiuto assoluto» che era «frutto — si legge nella sentenza — di una personale ed autoritativa interpretazione del diritto alla vita e alla salute» [...]