Giancarlo Dotto per il “Corriere dello Sport”
Compito in classe per tutti i reclusi della terra. Tema: “Evasione, dolce chimera sei tu. Da Johan Huizinga a Marguerite Yourcenar, dalle memorie di Adriano Imperatore agli incubi di Ronaldo Calciatore, passando per i gatti del Foro che inseguono gomitolo e sfera da mattino a sera”. Svolgimento. A differenza del gatto, l’homo ludens ha perso tutto e l’ha perso dalla sera alla mattina. S’è svegliato e s’è ritrovato come una pannocchia di mais prima della fioritura. Evirato di brutto.
Del sesso, quello migliore, di prima mattina, del cappuccino, del cazzeggio al bar o in ufficio con gli amici e le amiche, della carbonara al ristorante e del riso cantonese al sushi bar, dell’aperitivo, della messa e della partita di calcio, della discoteca, del film di Verdone e del concerto di Vasco, della palestra, dell’ora di danza e del fine settimana nel deserto. Del bicchiere della staffa. Di ogni amplesso. Ma non del complesso. Il complesso di Erode. E se il pargolo m’infetta? Ascolta, si fa nera.
ANGELO BORRELLI CON LA MASCHERINA
Che cosa resta da questa immane sottrazione alias castrazione? La faccia di Burioni. Quella di Spadafora. I comunicati di Borrelli. Gli schiamazzi di Salvini. La straparlante vanità della per nulla gaia scienza. La prosa vischiosa e tumefatta dal timore di Conte, di cui si comprende la gigantesca fatica ma la non meno gigantesca inadeguatezza. In compenso, ci siamo ricongiunti con i congiunti, dopo non aver potuto salutare gli estinti. Abbracci, in ogni caso, negati. Parafrasando Woody Allen: non ho paura del virus letale, solo che quel giorno non vorrei essere là.
E, invece, siamo qua, tutti, incluso Woody che è appena uscito con la sua non scandalosa autobiografia. Lo sguardo spaurito e le orecchie basse dei cani che vedono nemici ovunque, la vergogna dentro di aver perso la cuccia e la strada di casa. Anche i cani ci evitano. Spaventati dal nostro spavento. Cambiano strada quando ci vedono arrivare. Diffidano di noi. Non siamo più gente dignitosa. Non siamo più gli invincibili e allegri eroi dell’aperitivo al tramonto. Scivolati di colpo nel catalogo delle disgrazie umane, comparse afasiche di una storia che un giorno sarà raccontata a qualcuno che si crede contemporaneo e dirà di sè: “io per fortuna questa non l’ho vissuta”.
E ti vengo a cercare. I cani ci evitano, gli uomini in divisa ci vengono a cercare. Nei buchi più remoti del mondo. Ci vengono a stanare. Sembrano godere del nostro spavento. Più il pacco è fragile, più sembrano godere. L’altro giorno cercavo l’infarto liberatorio arrampicandomi su una sperduto sentiero di campagna, cantando a squarciagola “Sul ponte di Bassano noi ci darem la mano, noi ci darem la mano e un bacin d’amore”.
Dal nulla sbuca una macchina che mi punta a passo lento come una bestia allupata che deve solo decidere il momento buono per saltarmi addosso. Un po’ spaventato, un po’ felice. Ho bisogno di contatti umani. “Non va bene. Non si può…la bicicletta può usarla solo come mezzo di trasporto…”. Non capisco. Mi confondo. Mi sento un ridicolo uovo caduto nella padella sbagliata. Mi alzo la mascherina in volto e balbetto kafkiano mentre la colpa mi sanguina dai gomiti e dalle nocche delle mani, perché anche l’imbarazzo ha smesso di essere elegante: “Sto andando in farmacia a comprare il gel disinfettante e due confezioni di Xanax…”. “La farmacia è dalla parte opposta…Se facessero tutti come lei…”.
Il mio senso di colpa è alle stelle. Provo a giustificarmi, ma mi esce il lamento del gatto castrato: “Per dire quanto il mondo è ingiusto, il mio amico Carletto Ancelotti in questo esatto momento sta pedalando indisturbato a Crosby Beach, la spiaggia di Liverpool...”.
Involucri svuotati, spaventati, ma disinfettati su cui abbiamo poggiato due guanti, un paio d’occhiali e una mascherina. Sotto la maschera, niente. Un grumo di paura.
C’era bisogno di tutta questa paura? Di tutta questa angoscia? Era proprio necessaria? I virus sono attratti dalla paura. Anche i sogni sono infettati. Ieri notte ho sognato di aver perso l’ultimo aereo da Miami per l’Italia o forse non avevo i soldi per pagarlo e Valentino Rossi s’era rifiutato di darmi un passaggio sulla sua moto, nonostante avessimo diviso un panino con la mortadella nei camerini di “Controcampo” mentre si parlava della scomparsa di Ezio Vendrame e Giampiero Mughini guardava il vuoto come fanno le lucertole prima di andare in onda. “Quando la vita si mette male, trasformala in un musical” mi aveva suggerito un’altra volta in sogno il mio guru, Joe Malore, con la faccia di Gene Kelly.
“Ora che sei finito insieme ai tuoi simili in un film di fantahorror, mettiti a cantare, vedrai che tutto passa. In alternativa, fingiti un supereroe”. Mi viene meglio cantare, mi dico. La mattina dopo ho cantato “Trottolino amoroso dududadada”, l’ho registrato e l’ho mandato a un po’ di amici, incluso Pasquale Panella, l’autore, che mi ha ringraziato commosso e ci siamo scambiati due colpi di tosse metallica al telefono in segno d’intimità.
Facciamo un test? Una puntura onesta senza bisogno dell’ago. Interroghiamoci dentro, là dove il dentro coincide con il fuori. Due passi nel delirio onesto della vita, dove il buco è più nero del cigno nero. Tu Conte, tu Spadafora, tu Burioni, tu Speranza, tu Salvini, tu Meloni. Cosa ci succede quando siamo assediati dai cattivi pensieri e dalla mala sorte? Dal lavoro che non va, dalla malattia che avanza, dalla frana della borsa, dalle corna della moglie o del marito, dal tedio, dall’apatia, da qualunque sbarra o da qualunque virus? Sprofondiamo o ci diamo alla pazza e possibile gioia, quella che ci è consentita.
corinne clery foto di bacco (2)
Afferriamo il caleidoscopio e pratichiamo la libera evasione, il sogno a occhi socchiusi, meglio se sconfina nel delirio, perche il delirio è per noi come la cellula per il virus. Il punto di aggancio d’un’astronave che vaga nel vuoto. Stanchi di fiatare nelle mascherine che ti rimandano il tuo fiato lercio di paura. Stanchi di essere assediati, di sopravvivere come prede, gli abitanti dell’astronave decidono di affrontarlo a viso aperto, il nemico, senza maschera e senza guanti, e vada come vada, fanculo, quasi invocando di finire nelle fauci del mostro, purché sottratti alla gogna della paura, alle imboscate delle divise che ti stanano nei viottoli di campagna.
Di scoprirci nudi sotto le maschere, le pinne e gli occhiali. Stanchi di rasentare i muri e di trascinare in giro la propria sagoma come uno zero dal naso lungo e le orecchie basse. Fu così, assorto in questi pensieri, che uno noi scelse l’azzardo. Decise, quel pomeriggio incline al tramonto, di baciare Corinne Clery. Dopo aver mangiato le sue fragole e bevuto il suo vino.
Un bacio casto tra labbra e guancie, con la scusa del saluto, a questa radiosa settantenne che un tempo è stata una magnifica ventenne. L’ha baciata non pensando alle conseguenze. Ma a quelle foto che aveva appena visto e giurando a se stesso che il tempo non esiste, mentre il suo bassotto Totò gli ringhiava ostile e pisciava di rabbia ovunque. Ci fate caso? C’è sempre qualcuno che piscia di rabbia mentre hai una storia felice.
Gli omarini che ci governano non sanno spingere il loro monocolo là dove le cose realmente avvengono. Si limitano a proiettare se stessi nell’universo mondo. “Farla franca” è il loro motto. Non lo sapranno mai. Che la vita in sé è sopravvalutata, che non c’è vita senza evasione, che evadere la vita è più importante che viverla. Che la vita è la stessa cosa dell’evasione. Spaventati dalla propria mediocrità più che dal virus, questi colonnelli senza colonna hanno messo su un lager con i fiocchi.
Cacandosi addosso, pilatescamente si sono detti: “Noi non siamo capaci di avere una visione, d’immaginare una libertà modulata, ragionata e ragionevole. Dunque, per non sbagliare, chiudiamo tutto e si salvi chi può”. Pochi possono. A furia di lavarsi le mani, i Ponzi, ci evitano forse il virus, ma ci ammazzano di mille altre morti. Hanno creato un popolo di spaventati e angosciati, che non usciranno più di casa nemmeno quando saranno liberi di farlo. Rovina su rovina. Non bastava più svuotarci le tasche e lavarci le mani. Ci hanno chiesto di amputarle. Mani, piedi e cervello. Hanno fatto macelleria. Non lo sentite voi, nelle case, il lamento della carne macellata? No? Non potete sentirlo. Non avete orecchi abbastanza.
Cancellare l’evasione dalla vita dei viventi, significa ucciderli due volte. Pensare che una partita di calcio o uno spettacolo di teatro sia un eliminabile accessorio è una pigra bestemmia. Aspettando di liberarci dell’incubo di virus, muppet e omarini, retrocediamo di un paio di millenni e rimettiamoci all’animula vagula blandula di Adriano “Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti” (“Animula vagula blandula/hospes comesque corporis/Quae nunc abibis in loca/Pallidula, rigida, nudula/Nec, ut soles, dabis locos”). “…in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti”. È l’epitaffio di Adriano, ma potrebbe essere il nostro.