Ma a vincere il premio del giorno è lui. Monteverde Roma. ??????
Pubblicato da Giuseppe Careri su Venerdì 13 marzo 2020
Napoli non morirà mai ? pic.twitter.com/JjcAd7ePZQ
— Massimo Marrucco (@MMarrucco) March 13, 2020
Locked down and bored? Whether you’re in Rome or anywhere else in the world, reply with an #ASRoma balcony video and we’ll send a signed shirt to the best one we see ? pic.twitter.com/Awt40jMM97
— AS Roma English (@ASRomaEN) March 14, 2020
Luca Bottura per ''La Repubblica''
C' è qualcosa di nuovo nell' aria.
Anzi, di antico. E non è, non solo, il virus.
È una specie di esorcismo collettivo che ha del meraviglioso, e ci frammenta - unendole - in svariate comunità. Quelli che si danno appuntamento per suonare dalla finestra alle 16, quelli che cantano in balcone alle 18, il neomelodico che si esibisce per i vicini a Napoli, i canti goliardici a Siena, la macarena di gruppo sui terrazzini di Torino, i tenores sparati a tutto volume per le vie di Cagliari, lo studente di Bologna che improvvisa ballate sul davanzale, il tizio che intona Ancora di Eduardo De Crescenzo da un attico della Capitale, un altro che suona la taranta a Benevento, i flashmob virtuali, la voce di Rino Gaetano che invade il reparto pediatria nell' ospedale della sua Crotone, le canzoni in romanesco in una Trastevere deserta, Giuliano dei Negramaro che gorgheggia per strada, una banda che allieta una strada del Messinese senza uscire di casa, mia figlia che va in cortile suonando il violino ma solo 3' perché si vergogna, l' ex ministra Fedeli che si mette al piano e twitta, l' inno di Mameli modello Blues Brothers sparato ad Agropoli da un' auto dei vigili urbani "Fratelli d' Italia", ognuno dal suo balcone, ma insieme.
laura baldassari canta a milano
Tutte evenienze che solo due o tre giorni fa, specie la ministra Fedeli, avremmo affrontato chiedendo di indire una riunione di condominio straordinaria per far zittire i rumori molesti. Invece Invece oggi, con la rotonda eccezione delle solite ninja turtles fasciste, che hanno impestato l' aria della Capitale con "Faccetta Nera", questa specie di coro dissonante, sorta di Berio popolare, trasversale, ci inchioda alla mitezza.
Quasi tutti. Persino chi fino a due giorni fa impugnava la tastiera ad alzo zero. Certo: l' odiatore, il rancoroso, il misantropo attivo, ancora abitano le bacheche. E pure qualche strada, dacché chi strepita per le regole (altrui) di solito è il primo a violarle. Ma lentamente il clangore si spegne e lascia il posto a una specie di unità nazionale incidentale e dunque ancora più preziosa.
Qualche giorno fa scrivevo che ci sarebbe servito un dopoguerra a guerra ancora in corso. Di essere popolo, non populisti. E, sembra incredibile, siamo lì. Come se uscire dalle auto dove, come nei social, crediamo di vedere senza essere visti come se il bagno di realtà di chi vede le cose con più nitore perché sta nell' occhio del ciclone come se quell' emergenza che molti di noi non hanno mai conosciuto, risparmiati dalla percezione della morte persino nel rituale annuale del 2 novembre, ormai sostituito da bambini che invitano - legittimamente - ad optare tra dolcetti e scherzetti, avesse creato un collante che ci rende, di nuovo, umani.
federico sirianni e federica magliano
Manca solo un simbolo. Ma come si diceva per le figurine: celo. Anzi: ce l' abbiamo. Addirittura due. Il primo contiene il secondo: "Noi fummo da sempre calpesti e derisi perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un' unica bandiera, una speme, di fonderci insieme già l' ora suonò". È la seconda strofa del Canto degli italiani, quella che non insegue i miti dell' antica Roma, né le vittorie che cedono la chioma all' italico guerriero, ma affronta il nostro problema di sempre. Di chi è in coro solo quando dice di esserne fuori.
federica magliano arpa a torino
E poi c' è la bandiera. Lo so, lo so.
Da quando il rettangolo tricolore e la marcetta di Mameli sono diventati preda dei sovranisti, abbiamo riscoperto la fatica dei nostri avi, per cui verde, bianco e rosso si apparentavano non a Cavour, ma a Mussolini. E per qualcuno è rimasto tutto così, se è vero (e lo è) che su Amazon si trovano a pochi euro cenci della Repubblica Sociale. Da appendere, non senza lo sguardo divertito della Storia.
Però, proprio per questo, non sarebbe ora di riprendercela? Anzi: non sarebbe ora di esporla, di condividerla? Carlo Azeglio Ciampi e i festeggiamenti per i 150 anni di questo curioso Paese, sembravano averci regalato un' appartenenza non aggressiva. Avevano quantomeno smussato quella memoria a due facce che ci separa dal nostro unico mito fondante: la Resistenza. Che servì a ristabilire la Democrazia. Non il Soviet. In Italia.
Non nell' Unione Sovietica.
Poi, sono arrivati quelli che con il Tricolore volevano pulirsi le pudenda a spiegarci che gli anti-italiani saremmo noi. Ma stavolta è diverso. Persino l' inno che inonda le strade è meno stentoreo. È un canto, appunto. E per non sentirsi famigli di Casa Pound, che occupa memoria e palazzi alla stessa maniera, basta abbondare. Ci sta benissimo la bandiera europea, accanto. Per me è persino più rappresentativa. Perché pure quella è una speranza e una necessità, ora che stiamo scoprendo come i porti - e le frontiere - possano chiuderli a noi. Ma va bene quella della pace, del gay pride. Va bene Springsteen ma va bene anche Nek. Va bene un qualunque drappo rappresenti una passione quasi infantile, quando ancora non eravamo finiti sotto la polvere del cattivismo. E sapevamo risollevarci dalle macerie.
In questi giorni continuo ad avere in testa L' anno che verrà , di Lucio Dalla. Parla di un conflitto che finisce, mediato dalla speranza.
Quando la buriana sarà trascorsa, mi piace pensare che la nostra bandiera, che stava pure sui fazzoletti di chi ci liberò dai nazifascisti, e per le strade, il 25 aprile del '45, possa prendere il posto dei bandierini che normalmente cercano la dittatura cromatica su Twitter. Sognando di passare ai fatti.
Sarebbe pur sempre una guarigione.
#mostralabandiera