Dalla bacheca facebook di Christian Raimo
Tre settimane fa sono stato aggredito a mezzanotte a Piazza Sempione poco distante dalla sede del municipio. Ero con un'amica, eravamo usciti dalla serata di guida all'ascolto di Teho Teardo e abbiamo visto un gruppo di ragazzini che passavano davanti a noi e distruggevano le macchine parcheggiate: pugni sui vetri, specchietti retrovisori divelti, senza una ragione.
Li abbiamo chiamati e fermati. Loro si sono messi a cerchio contro di noi, erano una quindicina, e hanno cominciato a insultarci e minacciarci: fatti i cazzi i tuoi, me ne sbatto il cazzo di chi sei, ce la vediamo da uomini, a lei non la meno perché è donna... Mi hanno spintonato, strattonato, venuti sotto con la faccia e i pugni, dato un paio di calci, hanno provato a cercare la rissa... Avevano tra i 16 e i 19 anni, non di più, ragazzini, anche se alti anche uno e novanta, quasi tutti maschi. Sì comportavano con la logica del branco: un paio scappavano, un paio mi circondavano.
Erano grossi, violenti, probabilmente pippati, tanti. La cosa è durata un quarto d'ora, non poco, con scene deliranti come per esempio quando uno di loro ha cominciato a urlare: A me non me frega un cazzo se chiami la polizia, io me butto dal ponte...
In questi giorni stavo ripensando a questa scena. A me impaurito, convulso, triste, abbacinato. E pensavo a come avrei dovuto reagire e a cosa pensare: lì per lì ho mantenuto la calma andando verso l'incrocio della piazza dove c'era un passaggio più consistente di macchine e la cosa piano piano è scemata, con loro che alla fine sono corsi via.
Ma ci stavo ripensando perché la domanda fondamentale per la politica oggi è proprio questa: che ne facciamo di questa rabbia? Pensiamo di usare misure poliziesche? Pensiamo di bullizzare gli studenti e le loro proteste come da tre giorni fa Salvini sui social e in tv? Ce ne andiamo dai luoghi che pensiamo pericolosi? Tiriamo fuori le pistole come in Brasile o nelle Filippine?
Oppure possiamo immaginare la città come un luogo diverso, dove il sabato sera non ci sono solo macchine da sfasciare per strada ma anche spazi dove ballare, sentire un concerto, semplicemente stare.
Possiamo pensare che la città sia il luogo del conflitto e non dell'odio; della complessità e non del razzismo, del fascismo, dell'indifferenza alla politica, del maschilismo squadrista, del desiderio di annullamento dell'altro; e possiamo accettare anche la sfida che a quel punto di ragazzi di 16 o 17 anni possono porci. Di essere una generazione che desidera spazi, che non ha paura perché non ha niente da perdere, che ha il culto del corpo e tratta le donne come animali domestici se non come oggetti di scarto.
E magari pensare ogni volta che ci rendiamo conto di quanto sia interessante impegnarsi politicamente, che allo stesso tempo è inscindibile farlo anche nelle sconfitte, è che il vero piano da cui non si può prescindere è quello della riflessione, dell'autodeterminazione, ma soprattutto quello dell'educazione.