1 - ERGASTOLO OSTATIVO, SABELLA: “DECISIONE CORTE EUROPEA È REGALO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA”
Il magistrato Alfonso Sabella è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.
Riguardo la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’ergastolo ostativo. “Non è una decisione che è immediatamente esecutiva, però l’Italia deve comunque riformare le norme altrimenti rischia sanzioni a livello europeo –ha affermato Sabella-. Per come la vedo io, si tratta di un regalo alla criminalità organizzata. Il presupposto che finora ha tenuto, anche sul piano costituzionale, è che se tu fai parte di un’associazione di tipo mafioso e non ho le prove che ne sei uscito, non ho nessuna possibilità di provare a rieducarti.
Questa norma ha funzionato e ha impedito a dei capi di riprendere il controllo dell’associazione. La prima volta che ho votato da bambino fu in un referendum per l’abolizione dell’ergastolo. A quei tempi ero contrario all’ergastolo. Poi ho cambiato idea quando ho conosciuto la mafia, la mafia stragista, quella che scioglieva i bambini nell’acido.
E ho capito come l’ergastolo vero sia un’arma di cui lo Stato non possa fare a meno. Probabilmente il nostro governo riuscirà a trovare una soluzione, altrimenti l’impatto sarebbe devastante perché un migliaio di ergastolani potrebbe usufruire di permessi e questo potrebbe finire per creare nuovi fuggitivi e latitanti. Anche se bisogna pur sempre passare dalla magistratura di sorveglianza prima di dare i permessi.
Un aspetto su cui molti non hanno ragionato è che queste norme hanno avuto anche una funzione salva vita dei magistrati. Quando il legislatore ha deciso di togliere discrezionalità ai giudici ha salvato la vita a molti di loro. Con la discrezionalità invece, ci sarà il giudice buono che ti dà i permessi e quello cattivo che ti tiene dentro. Questo significa sovraesporre i magistrati che interverranno più rigidamente nei singoli casi.
Devo dire però che un po’ ce la siamo cercata. Abbiamo deciso di applicare strumenti come l’ergastolo anche ad altro tipo di reati per cui questi presupposti non ci stanno. Io sono rimasto malissimo quando è stato fatto morire Bernardo Provenzano al 41 bis, per un motivo di vendetta. Era accertato che da mesi era un vegetale. Lì abbiamo dato la dimostrazione che abbiamo usato quello strumento come forma di ritorsione, come forma di tortura. L’aggravante dell’agire al fine di agevolare l’associazione mafiosa è ormai un’aggravante che molte procure contestano a chiunque.
E’ stato tolto il valore a questa aggravante. Io dico: gli strumenti che abbiamo per la lotta alla mafia sono preziosi, teniamoceli, ma applichiamoli solo ai casi in cui devono essere applicati. Bisognerebbe favorire i contatti fra l’ergastolano ostativo e le vittime dei reati che lui ha commesso. La giustizia riparativa può far bene, anche perché può dare all’ergastolano la possibilità di riflettere su quello che ha fatto e in alcuni rari casi può anche essere un percorso rieducativo”.
2 - QUEI GIUDICI IGNORANO CHE COSA SIANO LE NOSTRE MAFIE
Francesco La Licata per “la Stampa”
La Corte dei Diritti umani di Strasburgo ha emesso una sentenza che, alla luce delle argomentazioni proprie di un processo penale "normale", non può che essere definita ineccepibile e in linea con le tendenze della maggior parte dei paesi europei. Il recupero del detenuto deve essere l' obiettivo della condanna alla detenzione, che non deve presentarsi come disumana e senza speranza. E l'ergastolo, per definizione, non lascia spazi a molte aspettative. Ma è un paese normale l'Italia con le sue tre o quattro mafie?
Quindi esistono altri argomenti che concorrono a considerare "pericoloso" il pronunciamento della Corte, senz' altro frutto di una cultura giuridica distante dalla nostra storia, lontana e recente. I giudici di Strasburgo non sanno cosa sono le organizzazioni criminali mafiose che da prima dell' Unità d'Italia hanno occupato almeno un terzo del territorio del nostro Meridione.
Una prima osservazione riguarda la possibilità di redenzione del detenuto, che non si realizza nel mafioso irriducibile (cioè non collaboratore). Se non si è mai pentito, l'affiliato rimane a vita vincolato dal giuramento di sangue pronunciato al momento del suo ingresso nella "famiglia". E perciò non esiste alcuna possibilità di "cambiamento" o "redenzione", anzi la storia ci insegna che userà ogni concessione dello Stato per agevolare l'organizzazione criminale. Solo un gesto pubblico (come l' avvio di una collaborazione) può essere considerato l' inizio di una "nuova vita", come bene ha spiegato la vicenda umana di Tommaso Buscetta e di tanti altri collaboratori.
La sentenza viene considerata "pericolosa" dai migliori specialisti della lotta alla mafia, che ricordano come tra le richieste contenute nel "papello" che Totò Riina inoltrò allo Stato per "concedere" la fine dello stragismo mafioso, vi fosse l' abolizione dell' ergastolo e del carcere duro (il 41 bis). Questo perché un boss, condannato a "fine pena mai" e relegato all' isolamento, è come un re senza potere e territorio e, dunque, non può imporre la sua volontà. In sostanza non è più un capo, come non lo fu Luciano Liggio in carcere, rispettato come un presidente onorario, ma non temuto come un capo.
Anche la lotta alla mafia potrebbe subire arretramenti, se la sentenza trovasse applicazione in Italia. Nessun mafioso cederebbe più alla collaborazione senza la spada di Damocle del "fine pena mai" e una detenzione "normale" (senza isolamento e 41 bis) scoraggerebbe ogni forma di dissociazione o pentimento. Ma questo la Corte di Strasburgo non lo sa.