Estratto dell’articolo di Cesare Giuzzi per corriere.it
I tavolini dei locali sono territorio esclusivo dei molti turisti agostani. Chissà se qualche ristoratore che ha scelto di abbassare la serranda anche qui si starà mordendo le mani? Non c’è la folla, ma neppure il deserto di certi anni fa. Sabato notte nella serata dei Navigli però i protagonisti (o meglio i sorvegliati speciali) sono altri. Gli autentici padroni, numericamente parlando, delle notti milanesi. Li chiamano (e si chiamano orgogliosamente) «Maranza».
Il termine arriva, con un retrogusto un po’ razzista, dagli anni Ottanta milanesi: unione di marocchino e zanza. Non proprio un complimento. Ma oggi i maranza sono quello che la sociologia definisce una subcultura urbana. Di loro s’è occupata perfino Vogue, perché lo stile è arrivato fino alle passerelle con tute acetate e inguardabili marsupi e borselli a tracolla.
Oggi basta aprire TikTok per vedere quanto il look di questi ragazzi from Nordafrica di prima, e soprattutto seconda generazione, abbia contagiato cantanti e influencer nostranissimi. Dai barbieri milanesi il taglio maranza — capelli cortissimi ai lati e riccioli di permanente in testa — è ormai una richiesta fissa. Non solo per gli originali.
Per molti ragazzini, però, il «maranza» si può trasformare nell’incubo numero uno di ogni uscita. In metropolitana, fuori dai locali, soprattutto lungo il tragitto di ritorno verso casa.
A guardare i dati delle aggressioni e delle piccole rapine tra giovanissimi, i responsabili 90 volte su cento sono proprio loro. Reati molto «micro» ma che hanno un impatto fortissimo sulla percezione di sicurezza. Anche perché per molti l’essenza dell’essere maranza ha anche una deriva «criminale»: aggredire coetanei, fregare collanine e cellulari, oppure (in gruppo) picchiarli anche solo per sfida.
Chi ha figli adolescenti è preoccupato, anche se guardando più in profondità spesso nelle compagnie di maranza non ci sono solo giovani nordafricani (marocchini ed egiziani su tutti) ma italiani, africani, sudamericani, slavi. Un melting pot che però ha un minimo comune denominatore: le periferie, contesti familiari turbolenti, a volte anche esperienze di comunità per minori o carcere. Non tutti, sia chiaro. Ma il fenomeno c’è, tanto da aver conquistato le prime pagine la scorsa estate con la mitologica presa di Peschiera del Garda dopo una chiamata alle armi via social.
Nonostante i trenta gradi molti indossano la tuta. Altri, di contro, girano a torso nudo. Mai soli, mai meno di cinque o sei. Qualcuno corre in monopattino lungo la Darsena. Non si capisce bene con quale direzione. Ciascuno la legge come vuole: movimenti frenetici di spacciatori di hashish o semplici ragazzate. L’hashish e l’erba sono un altro denominatore comune. In realtà vale per quasi tutti, non solo per i maranza.
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Non sono bande organizzate. Spesso i ragazzi fermati o arrestati sono «fluidi» nelle loro scorribande. Ci si unisce a compagnie sempre diverse. C’è chi rapina per sfida, chi per necessità. Diversi, specie i più giovani, sono appena arrivati a Milano dopo viaggi infiniti per mare e per terra. Minori non accompagnati che hanno cugini di quarto o quinto grado che si occupano solo di un posto per dormire.
notti milano con l'incubo maranza
La Darsena-maranza è in realtà la Darsena di quelli che restano a Milano, triste e malinconica. Ma è anche immagine del futuro della città. Di cui, nonostante accenti e devianze, questi temutissimi maranza sono figli legittimi. In attesa che la Milan col coeur in man si accorga anche di loro, oltre gli stereotipi.