IL VIDEO DEI TRAVESTIMENTI
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Anna Lombardi per “la Repubblica”
«Mister President, vorrei mostrarle l' ultimo trucco della Cia». Era il 1991 quando Jonna Mendez, all' epoca capo dell' ufficio travestimenti dell' agenzia, si presentò nello Studio Ovale indossando i panni della collega adibita a consegnare a George HW Bush i rapporti mattutini. In realtà avrebbe voluto assumere le sembianze di un collega afroamericano. Ma temendo che la voce potesse tradirla, preferì quelli di un'impiegata più giovane. «Me lo faccia scoprire da solo», aveva risposto Bush padre, capo della Cia nel 1976, alzandosi dalla scrivania. Salvo arrendersi dopo qualche minuto: «Rimase a bocca aperta quando vide un altro volto sotto quella faccia».
A trent' anni dal camuffamento con cui ingannò perfino il presidente degli Stati Uniti, Jonna Mendez, 74 anni, mette giù la maschera. Raccontando al Wall Street Journal la sua storia: insieme a quella dei volti di silicone donati allo Spy Museum di Washington che col marito Tony ha contribuito a fondare. Sì, perché Jonna è la vedova di quel Tony "faccia di gomma" Mendez, morto a 79 anni lo scorso gennaio, ispiratore del film Argo . Colui che nel 1980, travestito da produttore di Hollywood, riuscì a portar fuori dall' Iran degli ayatollah sei diplomatici americani nel pieno della crisi degli ostaggi.
Sposatisi nel 1991, lei appena nominata capo del dipartimento dei travestimenti, lui pronto ad andare in pensione a soli 50 anni, hanno scritto insieme diversi libri. Da Spy Dust - oggi la Bibbia degli aspiranti agenti segreti - a The Moscow Rules dove, col consenso dell'agenzia, hanno svelato, per la prima volta, le tattiche utilizzate durante la guerra fredda per carpire segreti ai russi. Regole d'oro come «mai essere troppo vistosi, ma nemmeno dimessi». Oppure: «Il successo della missione dipende dal gioco di squadra».
E pensare che Jonna, nata in Kentucky nel 1945, era approdata per caso alla Cia. Assunta nel 1966 come segretaria dopo che il primo marito, John Goeser. le svelò di essere un agente a tre giorni dal matrimonio. Erano in Germania: «Mi reclutai praticamente da sola». Fu l' interesse per la fotografia a spingere inizialmente la sua carriera. Il capo della sua sezione la notò, mandandola alla Farm, il centro in una fattoria in Virginia. Qui apprese i rudimenti del foto spionaggio: «Il mio strumento preferito è una microcamera nascosta nel rossetto. Imbattibile».
Condusse le sue prime missioni col marito Goeser: poi, dopo il divorzio, continuò da sola, lavorando come agente sotto copertura fra Asia ed Europa, per i successivi 27 anni.
Una carriera difficile, in un ambiente prevalentemente maschile: «Per farti notare dovevi lavorare il doppio di loro».
Prima di essere destinata in quella Mosca che, racconta, «chiamavamo l'ombelico della Bestia. I russi avevano almeno 50mila agenti operativi» - andò a studiare i trucchi di Hollywood e quelli dei maghi a Los Angeles: «Tutto sta nello sviare l'attenzione. Se sei inseguito puoi cambiare abito e fisionomia tra la folla in 45 secondi. Basta un naso finto, una sciarpa da trasformare in scialle, un sasso nella scarpa per cambiare modo di camminare».
Del disgelo con i vecchi nemici non vuole sentire parlare: «All' interno dell' agenzia nessuno si fida dei russi. Non li molleranno nemmeno davanti a ordini dall' alto». Poi, alludendo a certe voci riportate nel controverso rapporto Steele avverte: «I russi hanno marchingegni incredibili. Non so dove Donald Trump sia stato a Mosca: ma di sicuro la sua stanza era piena di microspie. Se ha fatto qualcosa che non doveva, loro lo hanno certamente ripreso».