Cristiana Salvagni per “la Repubblica”
La questione meridionale finisce nel carrello della spesa. Dopo anni di flessione, le famiglie che vivono al Centro e soprattutto al Nord tornano a spendere, mentre al Sud non si arresta la caduta dei consumi. A restituire la fotografia di un' Italia spaccata a tavola e nei sacchetti degli acquisti, tra caffè in capsule e latte, vini Doc e marmellate, sono gli ultimi dati dei fatturati della grande distribuzione elaborati da Nielsen.
In Lombardia, Emilia- Romagna, Veneto, Liguria e basse Marche è arrivata, dove più, dove meno, una leggera ripresa. In Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo e Calabria il calo delle vendite rimane, ma si va attenuando. In Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia il quadro resta negativo.
Se i segnali di risveglio dell' economia avevano fatto sperare in un futuro di dispense piene e supermercati affollati, in realtà nei primi mesi dell' anno in tante province non è stata registrata nessuna crescita. «L' andamento positivo del 2015, trainato dall' estate e dall' effetto Expo, lasciava pensare che si stesse invertendo la rotta, invece tra Nord e Sud si apre una forbice» spiega Nicola De Carne, il ricercatore di Nielsen che ha elaborato lo studio.
«Chi confidava in una crescita rimarrà deluso: nel 2016 non ci sarà. Il Nord e il Centro si terranno a galla, il Sud continuerà a spendere meno». «Oggi davvero il Paese ha velocità differenti, lo vediamo dal valore delle vendite: a parità di grandezza e offerta, un supermercato siciliano vende la metà di uno lombardo perché il mix dell' acquisto è più povero» spiega Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad, che con i suoi 3.062 negozi in 110 province ha il polso di come gira il vento dei consumi nelle famiglie.
«L' Italia, con la sua grande ricchezza alimentare, ha storicamente una gastronomia diversificata. Ma ora si aggiunge la disparità nella capacità di spesa - continua Pugliese - che nel Mezzogiorno a causa della disoccupazione è sempre più risicata. Da cosa lo vediamo?
La mortadella è bolognese, ma i consumi più alti sono al Sud perché è il salume più economico. O il latte: il fresco, più caro, va meglio al Nord. Quello a lunga conservazione, meno costoso, al Sud. E il divario non si ferma: sono sette anni che si va allargando ».
Ma quali sono i prodotti che a livello nazionale affossano o, viceversa, fanno da traino alla ripresa? Restano sugli scaffali i prodotti legati alla prima colazione: biscotti (-3,7 per cento), latte fresco (-7 per cento) e a lunga conservazione (-7,4 per cento), zucchero (-6,2 per cento), confetture di frutta (-3,2 per cento), merendine (-4 per cento). E poi preparati da brodo (-5,6 per cento), pelati e pomodorini (-13,5 per cento).
Vanno forte la birra (+4,3 per cento), l' acqua non gassata (+5,9 per cento), lo yogurt magro (+9,9 per cento), la frutta secca senza guscio (+16 per cento), il salmone affumicato (+12,8 per cento), gli affettati nelle vaschette preconfezionate (+9,6 per cento). E poi gli snack salati come pizzette, focacce e tramezzini, che registrano un aumento del 36 per cento, con un picco che supera il 100 per cento al Sud.
«Segno di un cambiamento negli stili di vita, come il calo della pasta di semola - continua De Carne - perché vuol dire che anche in regioni tradizionalmente attaccate al pranzo canonico prende piede il pasto veloce. Soprattutto, le persone affrontano le difficoltà in modo virtuoso: acquistano meno, ma sono più attente alla qualità e al benessere».
Di fatto gli anni di crisi hanno cambiato i consumi, anche dove si vanno riprendendo.
Il giro d' affari cresce grazie a prodotti di lusso, come le birre di pregio o gli alimenti poveri di grassi, che segnano ovunque aumenti a due cifre. E a conti fatti il vero fronte su cui si gioca l' unità d' Italia è quello salutista, perché biologico, gluten free e light crescono nei piatti di tutto il Paese.