“BIBI” SI STA FACENDO PRENDERE TROPPO LA MANO ANCHE IN CASA – IL TRIBUNALE DEL LAVORO DI ISRAELE HA ORDINATO LA FINE DELLO SCIOPERO GENERALE, INDETTO PER PROTESTARE CONTRO IL GOVERNO NETANYAHU: NELLE SCORSE ORE L’ESECUTIVO HA ESERCITATO MOLTE PRESSIONI PER EVITARE LE MANIFESTAZIONI – DOPO LA MORTE DI ALTRI SEI OSTAGGI A GAZA, PARENTI DEI PRIGIONIERI E CITTADINI NORMALI IMPUTANO AL PREMIER DI AVER SACRIFICATO LA VITA DEI PRIGIONIERI NON ACCETTANDO COMPROMESSI SUL CONTROLLO DEL CORRIDOIO FILADELFIA…
TRIBUNALE ORDINA FINE DELLO SCIOPERO GENERALE IN ISRAELE
(ANSA) - Il presidente del tribunale del lavoro ha ordinato la fine dello sciopero generale in Israele alle 14,30 ora locale, "dopo avere ascoltato le posizioni delle parti". Lo riferisce Ynet. L'ingiunzione arriva dopo le forti pressioni del governo sul sindacato per non bloccare le attività del Paese, come invece sta avvenendo.
Ieri un ministro del Likud, lo stesso partito del premier, ha riferito di forti timori di Benyamin Netanyahu rispetto alle enormi proteste contro il governo. Ieri l'Histadrut, il grande sindacato che rappresenta centinaia di migliaia di lavoratori, ha detto che lo sciopero potrebbe continuare anche domani.
LA RABBIA DEI PARENTI PARALIZZA TUTTO IL PAESE SCIOPERI CONTRO IL PREMIER E TENSIONI NEL GOVERNO
Estratto dell’articolo di Francesca Caferri per “La Stampa”
PROTESTE CONTRO NETANYAHU A TEL AVIV
Le strade di Tel Aviv sono un muro umano: decine di migliaia di persone circondano il ministero della Difesa, la Kiryat, il cuore della crisi che da quasi undici mesi sconvolge il Paese, da ogni lato: il grande viale di Kaplan, la piazza degli ostaggi, il Begin gate. È la rabbia che esplode, massiccia, quella che da settimane le famiglie degli ostaggi a Gaza invocavano e che solo ora, di fronte a sei corpi di giovani uccisi con colpi di pistola alla testa, arriva.
Secondo gli organizzatori delle manifestazioni di protesta di ieri sera in strada sono scesi in 300 mila solo a Tel Aviv, mezzo milione in tutto il Paese. Un terremoto che forse, nei prossimi giorni, o nelle prossime settimane, sarà in grado di smuovere l’immobilismo in cui Israele pare bloccato da mesi e costringere il primo ministro Benjamin Netanyahu a un compromesso che né lui, né tantomeno gli alleati di estrema destra su cui si basa la sopravvivenza del suo governo, vogliono.
Fuochi vengono accesi nelle strade, la polizia usa i cannoni ad acqua contro i manifestanti che gridano: «Chi state difendendo?». […] «Gli ebrei non abbandonano gli ebrei, questo Paese sta andando verso la rovina politica. So che alcuni di voi volevano che ci fermassimo prima. Lo facciamo ora», grida alla folla Arnon Bar David, il capo di HIstadrect, il più grande sindacato di Israele, che oggi promette di fermare il Paese. Allo stop si sono aggiunte alcune delle grandi imprese dell’high tech, uno dei motori dell’economia del Paese dove però il sindacato è poco presente, ma ci sono anche tanti settori che non si fermeranno.
I CORRIDOI DELLA STRISCIA DI GAZA
La maggior parte delle famiglie, ma anche l’opposizione guidata da Yair Lapid, considerano lo sciopero generale l’arma finale per costringere il governo al compromesso. Da vedere se funzionerà. Sarà la loro giovane età. Sarà che alcune delle loro famiglie – Goldberg- Polin, Gat, Yerushalmi– sono dal primo giorno in prima fila nelle proteste: fatto sta che la notizia della morte dei sei ostaggi ha fatto da detonatore a una crisi che da settimane cresceva e aspettava solo il momento per esplodere.
«Sono stati sacrificati sull’altare del corridoio Philadelphi», urla Einav Zangauker, madre di Matan, a Gaza dal 7 ottobre. Conservatrice, a lungo sostenitrice del Likud di Netanyahu, da settimane la più agguerrita delle madri di Begin gate, quella che ha detto alla stampa che anche i vertici del Mossad non ne possono più della politica del premier. E per questo è stata ricoperta di insulti.
Sul corridoio si consuma in queste ore la più grave spaccatura politica degli ultimi mesi. Ieri su X – l’ex Twitter – il ministro della Difesa Yoav Gallant ha ribadito il suo dissenso nei confronti del primo ministro. «La decisione di restare è stata presa pensando che gli ostaggi avessero tempo. Ma non c’è tempo », ha detto usando parole simili a quelle che aveva gridato alla riunione del governo sabato, quando Netanyahu aveva ottenuto dai suoi ministri la firma di un documento che impegnava Israele a mantenere il controllo della striscia di terreno al confine fra Gaza e l’Egitto. Ù
Il premier ha risposto ribadendo che non ci saranno passi indietro su questo punto. Gallant è il volto del governo – e dell’establishment della sicurezza – che chiede un accordo. Il suo braccio di ferro con Netanyahu va avanti da più di due anni ormai, sin da quando il premier cercò di licenziarlo in piena tempesta per la riforma giudiziaria.
La convivenza fra i due sembra sempre più impossibile, ma Gallant – esponente del Likud – non ha alle spalle un pacchetto di voti sufficiente a spaventare il premier. Al suo opposto ci sono i ministri dell’estrema destra Itamar Ben Gvir e Bezolel Smotrich, i cui voti sono invece fondamentali per la tenuta del governo: in questi giorni nel Likud si starebbero esplorando strade per un possibile nuovo governo senza di loro.
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