CAMBIO D’IDENTITÀ – PER TORNARE ALL’ELISEO NEL 2017, SARKOZY CAMBIA NOME AL SUO PARTITO E LANCIA I “RÉPUBLICAINS” – SECONDO GLI AVVERSARI, IL NOME RICHIAMA LA DESTRA USA, DELLA QUALE SARKÒ È GRANDE AMMIRATORE – MA CI SONO ANCHE POLEMICHE SUL FATTO CHE “LA RÉPUBLIQUE” È DI TUTTI
Bernardo Valli per “La Repubblica”
Per riconquistare nel 2017 la presidenza perduta nel 2012, Nicolas Sarkozy ha ribattezzato il partito. E ha scelto un nome ambizioso. Quello vecchio era logoro, ricordava sconfitte, in particolare la sua di tre anni fa, ed anche non poche inchieste giudiziarie, alcune delle quali lo riguardano. Ha dunque cancellato la sigla Ump (Unione per un movimento popolare), di cui l’ex primo ministro Alain Juppé, oggi suo avversario nel partito, fu l’autore nel 2002, e ha puntato su “Les Républicains”, un’etichetta che suscita polemiche e perplessità.
Quest’ultima espressione, etichetta, non è irrispettosa. La natura del vecchio Ump, versione Sarkozy, non sembra cambiata. È stata sostituita, appunto, soltanto l’etichetta. È l’impressione ricavata ieri dopo avere ascoltato l’ex presidente della Repubblica, e adesso presidente del partito, al congresso rifondatore, tenutosi al Paris Event Center, in prossimità della parigina Porte de la Villette.
Una caricatura incollata dai militanti socialisti sui muri della capitale mostra Sarkozy nella veste di un cowboy in sella a un cavallo bianco con sullo sfondo una bandiera a stelle e strisce. Il nuovo nome del partito, secondo gli avversari, ricalcherebbe infatti quello della destra americana, quella repubblicana di Reagan, ma soprattutto di Bush jr, del quale l‘ex presidente francese è stato amico e ammiratore.
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Se fosse vero sarebbe un paradosso: il movimento con origini golliste, sia pur sbiadite, si ispira a un’istituzione politica degli Stati Uniti dai quali, ricorda per l’occasione l’ Economist, il generale Charles de Gaulle prese più volte le distanze. Per marcare l’indipendenza della Francia dalla superpotenza non esitò a sfrattare da Fontainebleau i generali americani e uscì dal comando integrato della Nato, dominato da Washington. Florian Philippot, il vice di Marine Le Pen, si è affrettato a sottolineare che quando era capo dello Stato Sarkozy era «totalmente sottomesso» alla Casa Bianca. Cosi il Front National cerca di screditare l’uomo che invade il suo campo, usando spesso gli stessi argomenti con un linguaggio non sempre diverso.
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Ma il partito conservatore di Reagan e di Bush c’entra poco, comunque non è stata l’ispirazione principale. Nicolas Sarkozy ha ribattezzato il partito, di cui è ridiventato il presidente, pensando che il nuovo nome, in cui risuona la magica parola république, possa favorirlo. Tra due anni si concluderà il mandato del socialista François Hollande, e lui cercherà di rientrare nel palazzo dell’Eliseo.
Di etichette il movimento di origine gollista (del quale de Gaulle si servì senza mai farne parte) ne ha cambiate parecchie dal 1958, quando è cominciata la Quinta Repubblica. Ne ho contato almeno sei. Ma in varie occasioni è mutata anche la natura politica. L’appena defunta Ump ha assorbito ad esempio molti liberali giscardiani (dell’Unione per la Democrazia francese). Questa volta “Les Républicains”, al di là di alcuni ritocchi nell’organizzazione, è unicamente uno strumento adeguato al tentativo di una rielezione da parte di Sarkozy. Un inedito nella Quinta Repubblica, ma anche un’operazione azzardata, perché nessun ex presidente sconfitto ha mai ritentato la gara.
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La rielezione è tutt’altro che garantita. Anzi è più che incerta. Lui, Sarkozy, è forte tra i militanti del partito, anche se soltanto la metà degli iscritti (che sono 97mila) ha partecipato allo scrutinio della cosiddetta rifondazione. Ieri alla Porte de la Villette i militanti erano migliaia, ma riempivano una sala scelta su misura perché non ci fossero spazi vuoti. Più di sette francesi su dieci si sono espressi nei sondaggi recenti contro una nuova candidatura alla presidenza di Sarkozy. E più o meno altrettanti hanno giudicato inefficace ai fini elettorali il nuovo nome del partito.
Il sindaco di Bordeaux, Alain Juppé, espressione della corrente liberale e centrista, sul piano nazionale raccoglie più voti virtuali di Sarkozy. Ieri, pur essendosi dichiarato in favore di “Les Républicains”, è stato accolto da una bordata di fischi, e invitato a concludere il discorso dai sarkozisti più accesi impazienti di ascoltare “Nicolas”. François Fillon, ex primo ministro di Sarkozy e adesso suo concorrente nel partito, ha avuto diritto a un’accoglienza ancora più brusca. I militanti non apprezzano chi non accetta la supremazia di Sarkozy, ma Juppé, stando alle indagini d’opinione, ha più probabilità di vincere le presidenziali, se riesce a superare tra un anno le primarie nel partito. Il sindaco di Bordeaux è il favorito del mondo economico e finanziario.
La scelta del nome “Les Républicains” è stata contestata. La République è di tutti, e Sarkozy avrebbe compiuto qualcosa di simile a uno scippo. Un furto alla nazione. Ma un tribunale ha dichiarato legittimo il ribattesimo del partito di centro destra. E non pochi analisti politici l’hanno interpretato come una mossa corrispondente alla linea tradizionale più dura del partito neogollista. Basata sull’esaltazione dell’autorità dello Stato su una società, meglio su una nazione, non divisibile in comunità.
Un partito che si chiama ”Les Républicains” ricorda ai cittadini i valori repubblicani ai quali il Front National ricorre nel suo sciovinismo, attaccando gli emigrati, in particolare i musulmani. Per loro la République è una riserva dei francesi. I suoi valori devono essere una barriera.
Al primo turno “Les Républicains” dovrebbe sottrarre voti al Front National, e al secondo i socialisti esclusi dal ballottaggio (quasi otto francesi su dieci non vedono François Hollande come candidato nel 2017) saranno costretti a riversarsi sul candidato di “Les Républicains”. Sedotti anche dal nome, che può assumere un valore ambivalente. Valido a destra e a sinistra. Nulla garantisce ovviamente che il campione opposto al Front National sia Sarkozy. Potrebbe essere Alain Juppé.
La République domina il panorama politico-storico della Francia che conosciamo, sia pure con brusche cadute di interesse, dovute al fatto che tutti sono ormai repubblicani, a modo loro. A dominarla con variabile intensità, sono i suoi simboli, i suoi monumenti, la sua pedagogia, le sue commemorazioni e i luoghi esemplari della sua contromemoria. La République è anche il progresso sociale. E anzitutto è l’identità francese, per tanti aspetti assai diversa dalle altre repubbliche.
C’è anche un repubblicanesimo “chiuso”, che secondo lo storico Michel Winock «è il ritorno in forza di un patriottismo che non vuol dire il proprio nome». Da qui l’interrogativo spuntato nel 1989 su un settimanale di sinistra ( le Nouvel Observateur) con il quale si chiedeva, con la firma del filosofo Régis Debray: «Siete repubblicani o democratici?».
Come se non fossero la stessa cosa. La differenza tra gli uni e gli altri è che il repubblicano stima che distinguere i cittadini in particolare secondo le loro origini contribuisce a favorire il comunitarismo, quindi la disgregazione della società, mentre il democratico considera al contrario che negando le identità degli individui e le loro differenze si accrescono le tentazioni di rottura.
manifestazione a parigi sarkozy e hollande
Questa differenza riemerge ad ogni confronto sulla laicità e l’Islam. Nicolas Sarkozy ha rimesso in gioco la République, e cavalca la sua versione, che non è soltanto la sua.