MAURIZIO BELPIETRO per la Verità
Nei giorni scorsi, a proposito delle sanzioni che l'Italia e l'Unione europea hanno imposto alla Russia dopo l'invasione dell'Ucraina, ho scritto che fanno male a chi le riceve ma anche a chi le impone. Beh, con il senno di poi, devo ammettere che mi sono sbagliato. Le misure decise dall'Europa fanno più male a noi che alla Russia e di certo non servono a fermare la guerra.
La prova? L'ha fornita un giornale che non è certo sospetto di simpatie per Vladimir Putin, ossia il Financial Times. Che cosa ha scritto la Bibbia della comunità
finanziaria europea?
Che il peggior impatto sugli scambi commerciali lo hanno subìto i Paesi europei. Il giornale inglese parla di risultati «agghiaccianti», con una contrazione delle esportazioni pari al 5,6 per cento e delle importazioni per il 3,4 per cento. Paradossalmente la Russia, che ha visto bloccate le sue riserve all'estero e bloccati i suoi commerci, ha avuto effetti meno devastanti, perché, come dimostra un grafico dello stesso Financial Times, la contrazione si è fermata al 4,8 per cento.
Gli Stati Uniti hanno perso il 3,4 per cento delle esportazioni, mentre chi se l'è passata meglio è la Cina, che ha chiuso il mese con una flessione inferiore all'1 per cento. Se c'era un modo per dimostrare che i provvedimenti presi da Bruxelles non servono, ma anzi sono un boomerang per chi li ha emessi, beh il quotidiano britannico lo ha evidenziato con una semplice tabella, che è più esplicita di tante analisi.
In pratica, se Draghi e compagnia cantante pensano di fermare la Russia con queste sanzioni rischiano solo di farsi del male, perché non solo Putin non farà marcia indietro, ma a pagare il conto delle decisioni saremo proprio noi europei, che ci ritroveremo con un'economia che boccheggia senza avere alcun vantaggio.
Nei giorni scorsi, annunciando l'embargo al carbone russo (che però è stato rinviato ad agosto, quando come è noto la richiesta è inferiore), Ursula von der Leyen ha detto che con questa sanzione l'Europa avrebbe tagliato una fonte importante dei ricavi di Mosca. In realtà le cose non stanno proprio come le ha raccontate la presidente della commissione Ue. Infatti, dei 20 miliardi di dollari esportati dalla Russia solo il 40 per cento è acquistato dai Paesi europei, mentre il 60 è comprato da Stati che non applicano le sanzioni, come la Turchia, la Cina, l'India e così via.
Dunque, facendo due semplici conti, il «danno» per Putin scende a 8 miliardi e siccome l'export di carbone rappresenta l'1,2 per cento del Pil russo, la perdita in termini reali per Mosca scende a 0,48 per cento del Prodotto interno lordo. In compenso, l'Europa sarà costretta a comprare ciò che le serve per alimentare le sue centrali da qualcun altro, magari dall'Australia, ma importarlo costerà il 30 per cento in più. Così, mentre Putin sarà libero di vendere carbone a quella metà del mondo che continua a fare affari con lui, limitando o forse annullando gli effetti dell'embargo e dunque non registrando alcun concreto impatto sull'economia russa, noi probabilmente dovremo mettere a bilancio una spesa superiore a quella dello scorso anno.
Ma questo è solo un esempio di effetto collaterale delle sanzioni, che fanno più male a chi le mette che a chi le riceve. In molti, a cominciare dal segretario del Pd, Enrico Letta, insistono per l'embargo degli idrocarburi.
Stop all'importazione di gas e a quella di petrolio, nella convinzione che se non riuscisse più a vendere metano e greggio all'Europa l'economia russa crollerebbe. Questa certezza fa il paio con quella manifestata all'inizio della guerra, quando America e Ue erano convinte che per fermare i carrarmati russi sarebbe stato sufficiente escludere le banche e le aziende russe dal circuito delle transazioni internazionali. L'espulsione dal sistema conosciuto con l'acronimo Swift era stata descritta come una bomba atomica finanziaria, che avrebbe portato in poco tempo la Russia al default, perché privata della possibilità di regolare i conti.
A distanza di un mese e mezzo dall'inizio del conflitto, niente di tutto ciò è successo, perché Mosca ha trovato modo di aggirare il blocco, pagando in rubli e scambiando valuta con quella parte del mondo che non si è accodata alle sanzioni. Lo stesso potrebbe succedere se venisse bloccato l'export di petrolio e gas. Michele Geraci, forte di un'esperienza in alcune banche d'affari americane e di anni di docenza in Cina, ha spiegato che gli effetti potrebbero essere ridotti, di gran lunga inferiori ai contraccolpi che potrebbe avere la nostra economia.
Del resto, si tratta delle stesse considerazioni svolte da Garland Nixon, analista politico statunitense, che due giorni fa, citando fonti della Casa Bianca, ha parlato di un collasso economico della Ue in pochi mesi. E la Russia? Beh, secondo lui, Mosca «dovrebbe essere praticamente a posto». Un'ottima strategia, quindi.