Carlo Bertini per “la Stampa”
GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA
La risposta come sempre è tagliente, «noi abbiamo questo impegno, che è storico per l'Italia, e continueremo ad osservarlo», dice Mario Draghi, incalzato a Bruxelles, lasciando intendere che un ex premier come Giuseppe Conte dovrebbe sapere cosa comporti un patto assunto da anni in sede Nato. E' chiaro che al capo del governo non sia andata giù la minaccia, lanciata dalle colonne di questo giornale dal leader 5 Stelle, di non far votare in Senato l'aumento delle spese militari, perché «la priorità è il caro bollette».
Minaccia reiterata al congresso dell'Anpi: rispetto alle attese del Paese su sanità, lavoro ed energia, «sarebbe una scelta ignobile», ha rincarato la dose Conte. E a peggiorare le cose, il fatto che la sua minaccia sia stata lanciata proprio il giorno in cui Draghi è impegnato in una missione cruciale in Europa, con tutti i leader, Biden in testa, di fronte ai quali l'Italia avrebbe dovuto presentarsi come paese unito e affidabile.
Considerazione, questa, che rimbalza nelle chat del partito più fedele al premier, il Pd: scosso dai malumori nel vedere il suo principale alleato prendere un crinale così poco rassicurante per il governo. Stop dagli uomini di Guerini «Il nodo di fondo è: come facciamo noi a stare con questi? Ogni giorno ce ne è una più grave».
E se è uno dei capi della sinistra dem, Matteo Orfini, a parlare così dopo lo stop di Conte sulle spese militari da implementare; se pure Enrico Letta non abbia sentito l'urgenza di chiarire le cose con il suo alleato, si può ben immaginare cosa dica l'ala più storicamente atlantista: quella capitanata dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Il portavoce della sua corrente "Base riformista", Alessandro Alfieri, esterna un sentimento che accomuna il grosso delle truppe Pd di Camera e Senato, alla vigilia di un voto mercoledì al Senato sugli ordini del giorno per aumentare le spese per armamenti al 2% del Pil. Il succo è semplice: Conte ha superato il limite.
«Gli impegni sulla difesa - dice Alfieri - sono da rispettare, sappiamo che vanno trovate formule condivise anche insieme ai 5 Stelle. Ma ci sono delle linee rosse da non superare, la prima è non mettere a rischio il governo in un momento come questo». Insomma, la misura è colma, pure dirigenti vicini al segretario, in camera caritatis, si lasciano andare a sfoghi di questo tenore: «Conte è allo sbando, prova a recuperare un ruolo con i grillini ortodossi, ma i gruppi non lo seguono. Di Maio è più serio e affidabile, ha un ruolo anche internazionale in questa fase e lo vuole tutelare».
LORENZO GUERINI - LUIGI DI MAIO
Maggioranza a rischio sul Def Poi è chiaro che a Enrico Letta tocchi la parte del pompiere che «getta acqua sul fuoco», come dicono i suoi. Di fronte a Conte che avverte «ognuno farà le sue scelte», il segretario dem prova a esercitare una moral suasion con il suo alleato, convinto che «il governo non cadrà sulle armi».
Se pure si pattinerà sulle uova mercoledì in Senato sugli ordini del giorno, che non equivalgono però a voti di fiducia, quando in aprile si tratterà di votare il Def per la manovra di bilancio, con le tabelle di spesa, non si potrà più scherzare. «Non credo ci saranno problemi su questi temi», dice Letta. «Sono convinto che troveremo le soluzioni, in questo momento in c'è bisogno di essere molto uniti e determinati».
debora serracchiani enrico letta
La Meloni subito ne approfitta Peccato che al Senato ci sia già fibrillazione: la Meloni ha fatto depositare un ordine del giorno per aumentare le spese al 2%, puntando sulle spaccature della maggioranza. E c'è il rischio che anche i renziani di Italia Viva facciano lo stesso per sferzare i 5stelle. L'ex capogruppo dem, Andrea Marcucci, vicino a Renzi, è il primo a strattonare Conte: «Non si minaccia una crisi di governo durante una guerra in Europa». E anche la capogruppo alla Camera, Debora Serracchiani, dice lo stesso, facendo capire che aria tira ai piani alti del partito.