DAGOREPORT
CARLOS TAVARES JOHN ELKANN - STELLANTIS
Se l’amministratore delegato di Stellantis, l'intrepido Carlos Tavares, rilascia interviste e va allo scontro con il governo italiano, è perché John Elkann ha massima fiducia in lui. La stima dell’ingegnere per il manager portoghese è solida, e ha riempito quel vuoto lasciato dalla morte di Sergio Marchionne, nel luglio del 2018.
La scomparsa dell’ad italo-svizzero fu un brutto colpo per il rampollo Agnelli, che si rese conto di aver perso la mente geniale che aveva contribuito a salvare l’impero e a rilanciarlo. Sentendosi più debole, John Elkann aprì il negoziato con l’allora gruppo Peugeot per diluire Fiat Chrysler all’interno del gruppo Stellantis. Della serie: non avendo più un cavallo di razza a guidare l’azienda, tanto vale fonderla per un’alleanza che dia più solidità in un mondo dove solo i più grandi sopravvivono.
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E fu in quella occasione che Elkann conobbe Tavares, un ottimo e intransigente manager con una profonda conoscenza del mercato dell’automotive e un’idea chiarissima sul ruolo che l’azienda avrebbe dovuto ricoprire.
A sparigliare un po’ i piani non solo di Stellantis ma dell’intero comparto dell’auto è arrivata, negli ultimi anni, la cavalcata cinese sulle auto elettriche.
La capacità di Pechino di investire nel segmento di mercato e di produrre a basso costo ha messo sotto pressione tutti i player europei, Stellantis compresa. I timori dei grandi produttori di auto, uniti a quelli dell’Unione europea di essere “invasa” dalle macchine cinesi, ha fatto cadere il tabù degli incentivi elargiti da Bruxelles alle case produttrici di auto.
Lo Stato francese (azionista di Renault e di Stellantis) ha varato un piano di incentivi che esclude di fatto gli acquisti di auto provenienti dalla Cina, e anche in Germania i sussidi per l’acquisto di macchine a batteria sono ripartiti, salvo uno stop “procedurale” dovuto alla sentenza della Corte costituzionale sul bilancio.
Di fronte alle politiche franco-tedesche, è difficile dare torto a Tavares, quando accusa il governo Meloni di volere la siringa piena e la moglie drogata: pretende un aumento della produzione e garanzie occupazionali sugli stabilimenti, ma non contribuisce a contenere la concorrenza cinese con generose elargizioni.
Anzi, i progetti al via rischiano di finire per avvantaggiare Pechino. Secondo quanto riporta oggi “il Messaggero”, il 70% degli incentivi al via a marzo (793 milioni di euro solo per la parte auto) servirà per comprare veicoli assemblati all’estero. "Soltanto il 30% sarà distribuito tra i modelli costruiti negli stabilimenti in Italia: a beneficiarne saranno soprattutto i futuri proprietari di Panda (prodotta a Pomigliano d’Arco), Cinquecento elettrica (Mirafiori) e Jeep Renegade (Melfi) targati Stellantis".
L’idea che lo Stato italiano possa entrare in Stellantis è stata partorita dalla fervida immaginazione del ministro Adolfo Urso, ma Tavares è già insofferente per la presenza della Francia in Stellantis, figuriamoci se ha voglia di accollarsi l’ennesima zavorra statale che proverebbe a orientare scelte e investimenti.
Ps. L’Unione europea frigna ora, a buoi scappati, per lo strapotere cinese nell’elettrico. Ma sono state proprio le scelte di Bruxelles, tra una transizione ecologica e un “green deal”, a dare una spinta fortissima al Dragone e alla sua industria a batteria.
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