DAGOREPORT
Alla fine, la poltrona è la poltrona. Andare alle urne, con l’attuale legge elettorale e in piena pandemia, vuol dire far ritornare Salvini con la Meloni a Palazzo Chigi. E sul Mes arriva l’intesa. Con un ordine del giorno molto annacquato i pentastellati ribelli si tureranno il nasino e voteranno mercoledì “sì” alla riforma del Salva Stati perché ‘’Conte deve essere forte in Europa, bla-bla’’. Idem Forza Italia. (A proposito, Berlusconi avrebbe detto a Gianni Letta di aver sconfessato la salviniana Lucia Ronzulli). Mentre Italia viva intende apporre la firma dei capigruppo in calce al testo solo dopo aver ascoltato l’intervento di Conte in Aula.
mattarella renzi zinga di maio
E’ l’ultima mossa di Renzi nel suo gioco al rialzo sulla gestione totalitaria di Conte del Recovery che l’ha escluso dalla cabina di regia. Il Bullo gioca anche per conto terzi, essendo appoggiato clandestinamente da gran parte del Pd, a partire da Zingaretti che, privo com’è di leadership naturale, fa il pesce in barile, per finire con Franceschini che come capodelegazione del partito a Palazzo Chigi non conta un beneamato niente nella gestione dei fondi europei.
NICCOLO GHEDINI LICIA RONZULLI MATTEO SALVINI
E poi c’è Goffredo Bettini che è favorevole a un rientro di Renzi nel partito ma Zinga e Franceschini temono ovviamente che rubi loro la scena. L’ideologo, da parte sua, sogna solo e da sempre di avere un grosso ruolo nel campo della cultura, compresa la poltrona di ministro dei Beni Culturali oggi sotto il sedere di Franceschini.
Intanto il Volpino di Palazzo Chigi non molla la politica del “dividi e impera” col Pd: vuole accontentare il ministro della Difesa Lorenzo Guerini per la scelta del capo dell’Arma dei Carabinieri e ha risucchiato quel tontolone di Gualtieri nella cabina di regia del Recovery formata, oltre che dallo stesso Conte, dai ministri dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd), e dello Sviluppo, Stefano Patuanelli (5 Stelle). Al zingarettiano Enzo Amendola hanno riservato il ruolo di intermediario con Bruxelles. Alla fine, con tali interlocutori molli come lo stracchino, il premier farebbe il cazzo che gli pare.
sergio mattarella parla con dario franceschini e nicola zingaretti
Renzi con gran parte dei piddini al seguito hanno ribadito che non voteranno mai una norma che accentra la gestione dei 209 miliardi nelle mani del Ducetto Conte: ”Insistere su una misura che sostituisce il Governo con una task force? Noi abbiamo mandato a casa Salvini per non dargli i pieni poteri, ma non è che li diamo a Conte”.
Infatti il premier per caos nominerebbe anche i 6 manager che guiderebbero ‘’una tecnostruttura di una novantina di esperti di settore chiamati a gestire l’attuazione dei programmi del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, suddiviso in sei capitoli: rivoluzione verde, digitale, infrastrutture, istruzione, inclusione sociale, sanità’’.
Un piano che il Bullo di Rignano ha liquidato così: ‘’Conte ritiri il suo piano, venga in aula, ascolti le idee di maggioranza e opposizione, convochi una sessione ad hoc dopo legge di bilancio e poi si decide chi spende i soldi e come’’.
Ovviamente lo schiavo di Casalino se ne guarda bene di accennare ai partiti della maggioranza i nomi dei sei manager: lo farà come al solito all’ultimo minuto, col favore delle tenebre. La presa del potere di Conte sta rompendo i coglioni non solo al Pd e ai renziani ma soprattutto a Luigi Di Maio, più avvelenato di un cobra nei confronti della Pochette con le unghie che, in duplex con Guerini, ha escluso il generale Agovino dalla scelta del capo dell’Arma, ormai ridotta a un duello Luzi-Maruccia.
Ma anche l’ex bibitaro del San Paolo sa che non c’è oggi una soluzione di ricambio e che il prossimo settembre inizierà il settembre bianco e le Camere non potranno essere sciolte. Certo, il logoramento non stop di Conte alla fine si può tradurre anche in un voto anticipato ma prima si deve fare una legge elettorale proporzionale, l’unica che potrebbe assicurare il ritorno a Palazzo Chigi.
Dal Quirinale, tra l’altro, Mattarella ha fatto sapere al fidanzato di Olivia di andarci piano con l’Europa, di parlare al più presto con Macron e Merkel, perché se si rompono i cojoni ci faranno vedere i sorci verdi.
PIÙ CHE STABILITÀ SEMBRA PARALISI
Stefano Folli per “la Repubblica”
giuseppe conte e luigi di maio
Il governo Conte imbarca acqua come una nave piegata su un fianco, tuttavia continua a navigare con fatica. A un osservatore imparziale la scena appare paradossale. Da un lato, si suppone che domani l'esecutivo supererà la prova parlamentare sul Mes: né al Senato, nonostante i numeri esigui, né tantomeno alla Camera si prevede una sconfitta.
È vero che i colpi di scena sono tali proprio perché sono imprevedibili, ma quasi nessuno crede che esistano oggi le condizioni per un incidente. Il gran trambusto dei giorni scorsi, dalla crisi dei 5S a Berlusconi che si riscopre "sovranista", dovrebbe estinguersi in un voto senza sorprese: per cui la riforma del Mes andrà avanti e il ministro Gualtieri eviterà di presentarsi a mani vuote a Bruxelles. Dall'altro lato, tuttavia, Conte e la sua compagine restano in una situazione caotica: una nave semi affondata, appunto.
ROBERTO GUALTIERI GIUSEPPE CONTE
Il voto positivo in Parlamento non potrà essere presentato come il successo di una maggioranza in buona salute, pronta a cogliere tutte le opportunità del piano "Next generation". Per la buona ragione che tale maggioranza è tutt' altro che salda dietro la "leadership" del presidente del Consiglio. Al contrario, è talmente sfilacciata e così poco convinta della sua missione solidale da offrire all'esterno l'immagine di una rissa quotidiana.
Giuseppe Conte Lorenzo Guerini Dario Franceschini
Quale sia il motivo è fin troppo chiaro: la gestione dei 209 miliardi assegnati all'Italia. Chi e come dovrà occuparsi dei progetti di spesa e chi, in definitiva, amministrerà il tesoro. Su questo punto la coesione del governo si è infranta. Renzi sta agendo da "commando" oltre le linee nemiche, pur essendo un socio a pieno titolo della coalizione che dovrebbe sostenere il premier. Ma di sicuro il capo di Italia Viva non è isolato: da tempo egli ha colto il disagio del Pd e se ne serve per coprirsi le spalle; anzi, i più maliziosi vedono in certi attacchi mirati a Palazzo Chigi la prova di una convergenza tra il guastatore Renzi e il gruppo di vertice dei democratici.
Se fosse così, non ci sarebbe nemmeno bisogno di un patto segreto: basta l'intreccio dei reciproci interessi. Vale a dire la volontà di indebolire Conte e di non permettergli di usare la cortina fumogena dell'ennesima "task force" per escludere in tutto o in parte le forze politiche dal controllo dei fondi europei.
Questo spiega perché il Consiglio dei ministri si è insabbiato di rinvio in rinvio; perché si avverte una crescente sfiducia tra il premier e i ministri a lui più vicini, da un parte, e l'asse di fatto Pd-Renzi, dall'altra; perché il compromesso sulla gestione dei soldi è ancora lontano (peraltro tali ingenti risorse non arriveranno domani e nemmeno dopodomani, al centro come sono di un confronto politico all'interno dell'Unione).
In altri tempi si sarebbe detto che il governo è nella tipica condizione di pre-crisi. Anzi, in altri tempi il presidente del Consiglio sarebbe già salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni e permettere un chiarimento tra le forze politiche. Ma oggi ci si muove in un'altra logica.
L'esecutivo va avanti zoppicando, consapevole che nessun partito ha voglia di aprire una crisi al buio in piena emergenza sanitaria. Se ne parlerà magari dopo l'approvazione della legge di bilancio - prevista entro dicembre - e quando la pandemia sarà meno insidiosa. In altre parole, verso la primavera. Intanto l'Europa osserva perplessa la strana stabilità italiana che è quasi sinonimo di paralisi.