Marco Bresolin per “La Stampa”
Parlare con i taleban. Per garantire l'evacuazione degli ultimi cittadini europei ancora presenti in Afghanistan e dei collaboratori locali, per cercare di condizionare la formazione «di un governo inclusivo» e per non perdere l'influenza su un'area strategica. I governi europei hanno la necessità di mantenere un contatto con i nuovi padroni di Kabul e non lo nascondono.
Ma al tempo stesso devono trovare la formula adatta per evitare un frettoloso riconoscimento del regime che al momento nessuno vuole. Il tempo a disposizione, però, non è molto perché altri attori si stanno già muovendo in modo decisamente più determinato.
VLADIMIR PUTIN XI JINPING BY EDOARDO BARALDI
La Russia si è detta pronta a organizzare proprio a Kabul - «non appena le circostanze lo permetteranno» - una riunione sull'Afghanistan nel formato «troika allargata», con gli Stati Uniti, la Cina e il Pakistan. Il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha spiegato che il Cremlino è al lavoro per «concordare passi esterni che contribuiranno a creare le condizioni all'interno dell'Afghanistan per formare un'amministrazione davvero nazionale».
«Cina, Russia e Iran avranno maggiore influenza nella regione - ha scritto ieri in un intervento sul New York Times l'Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell -, mentre Pakistan, India, Turchia e le monarchie del Golfo si riposizionano. Non possiamo lasciare che siano loro gli unici interlocutori dell'Afghanistan dopo il ritiro occidentale. Dobbiamo riformulare il nostro impegno, anche con gli stessi taleban».
joe biden e vladimir putin se la ridono
I ministri degli Esteri dei ventisette ne parleranno oggi e domani nella riunione informale a Lubiana, dedicata principalmente alla situazione in Afghanistan. Ma la questione è soprattutto nelle mani dei capi di Stato e di governo dei Paesi europei più coinvolti. «Paesi Bassi, Francia, Germania, Regno Unito e Italia stanno lavorando a stretto contatto per istituire rapidamente un posto congiunto a Kabul per portare più persone al sicuro», ha ammesso l'altra sera il premier olandese Mark Rutte dopo l'incontro con Emmanuel Macron, che oggi riceverà anche Mario Draghi.
«A un certo punto dovremo avere un contatto con i taleban», ha aggiunto Rutte. Ma è sulla formula adatta che si stanno concentrando le discussioni delle ultime ore tra le cancellerie europee. Aprire una vera e propria ambasciata significherebbe di fatto riconoscere il nuovo regime. Si stanno per questo esplorando «modelli innovativi», come l'apertura di un ufficio unico europeo.
Sotto l'insegna dell'Ue oppure con funzioni principalmente umanitarie: in quel caso non sarebbe guidato da un diplomatico. Prima o poi, però, la questione del riconoscimento si porrà. «Dobbiamo metterli alla prova e giudicarli dai loro atti, non dalle promesse» dice il capo della diplomazia britannica, Dominic Raab. Al momento l'Unione europea è favorevole al mantenimento delle sanzioni Onu ai taleban «per avere maggiori leve», anche nella gestione dei flussi migratori. Una patata bollente che rischia di scatenare il tutti contro tutti e che per questo i governi vorrebbero gestire a distanza, finanziando i Paesi limitrofi per allestire lì i centri di accoglienza.
Ieri c'è stato un aspro botta e risposta tra David Sassoli e Viktor Orban al forum strategico di Bled, in Slovenia. Il presidente del Parlamento europeo si è detto deluso dall'esito del Consiglio Affari Interni di martedì, incapace di assumere impegni concreti per quanto riguarda l'accoglienza. Poi ha criticato la linea del premier ungherese perché - gli ha ricordato - con questo atteggiamento l'Europa rischia di essere travolta come l'Impero romano.
Orban ha replicato dicendo che l'arrivo dei profughi «sta cambiando la composizione del nostro Continente» ed è «una sfida alla nostra eredità culturale e cristiana», per questo va contrastato. Al suo fianco, il ceco Andrej Babis ha ricordato con orgoglio quando «nel 2015 io e Viktor ci battemmo contro questa stupida idea delle quote di redistribuzione avanzata dall'allora presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker».
ursula von der leyen, emmanuel macron, charles michel, angela merkel e mario draghi al g7 1 emmanuel macron e mario draghi al g7