Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
giuliano amato - conferenza stampa sui referendum
Avessero potuto correggere qualche quesito per renderlo ammissibile, i giudici costituzionali l'avrebbero fatto. Ma non potevano. E le spiegazioni che il presidente della Corte Giuliano Amato si assume la responsabilità di dare in un'inusuale illustrazione pubblica delle decisioni appena adottate, lasciano trasparire il disagio e per certi versi persino la sofferenza nascosti dietro alcuni «no».
Ad esempio sul «fine vita», su cui Amato denuncia l'uso improprio delle parole: «L'hanno dipinto come un referendum sull'eutanasia, mentre era sull'omicidio del consenziente, e formulato in modo da estendersi a situazioni del tutto diverse da quelle per cui pensiamo possa applicarsi l'eutanasia. Un risultato costituzionalmente inammissibile».
MARCO CAPPATO PROMUOVE IL REFERENDUM EUTANASIA
Fuori dall'antico palazzo della Consulta fioriscono già le polemiche e le accuse alla Corte, ma dentro, dopo due giorni di intenso lavoro, i giudici restano convinti di non aver avuto alcuna preclusione politica. Tutt' altro. L'invito a non cercare il «pelo nell'uovo» - a sua volta non una scelta politica, bensì di non contrastare quanto prescritto dalla Costituzione, precisa il presidente - era un sincero segnale di apertura. Ma senza andare oltre il consentito: «Non possiamo correggere quesiti mal formulati».
E dunque, sull'omicidio di una vittima consenziente, qualora al referendum così come architettato dai promotori avessero prevalso i «sì», si sarebbe arrivati alla non punibilità di chi aiutasse un ragazzo maggiorenne depresso, «magari un po' ubriaco», che chiedesse di essere ucciso. «Tutto questo non ha nulla a che fare con i casi in cui ci si aspetta la non punibilità dell'eutanasia, né con le sofferenze dei malati che aspettavano una decisione diversa», chiarisce Amato, lasciando trasparire molta amarezza.
giuliano amato - conferenza stampa sui referendum
Del resto la Corte ha dimostrato una certa sensibilità su questa materia, dichiarando incostituzionale, in alcune circostanze, la punibilità del suicidio assistito. In quel caso i giudici, consapevoli delle implicazioni etiche e valoriali, avevano dato al Parlamento il tempo per legiferare, ma alla scadenza del periodo concesso non hanno esitato a cancellare la norma. La decisione di bloccare il referendum è stata comunque travagliata e non unanime; qualche giudice (cinque su quindici, secondo le indiscrezioni trapelate) riteneva possibile l'ammissibilità. Ma ha prevalso il rigetto. Che non significa che tutto debba restare com' è, ma per cambiare attraverso un referendum ci voleva un quesito diverso.
Allo stesso modo di quello riguardante la legalizzazione della cannabis che - secondo un corretto utilizzo delle parole - avrebbe dovuto chiamarsi «legalizzazione della coltivazione delle sostanze stupefacenti». Perché, per come era scritta la proposta da sottoporre ai cittadini, la vittoria dei «sì» avrebbe esteso la legalizzazione anche a eroina e cocaina, con conseguente violazione di obblighi internazionali e andando oltre l'obiettivo sottinteso al referendum.
Se a queste due bocciature si aggiunge quella che impedisce la consultazione sulla responsabilità civile diretta dei magistrati nei confronti di una presunta parte lesa, senza più l'intermediazione dello Stato, il risultato è che la Corte ha impedito il voto sulle questioni più popolari e sentite dalla cittadinanza. «Così la vicenda referendaria assume un peso decisamente marginale, anche se comunque salutare», commenta l'avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente delle Camere penali e antico militante radicale.
LA CORTE COSTITUZIONALE GIUDICA AMMISSIBILI I QUESITI DEL REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA
Alla Corte ne sono consapevoli, ma resta la convinzione che non potesse andare diversamente. Lo lascia intendere ancora Amato, quando spiega che dalle discussioni su ciascun quesito è emerso quasi sempre un orientamento chiaramente maggioritario, se non unanime, e dunque non c'è stato nemmeno bisogno di votare.
A parte l'eutanasia e la cannabis (anzi: l'omicidio del consenziente e le droghe), quello sulla responsabilità civile dei giudici sarebbe stato un referendum «innovativo più che abrogativo», operazione non consentita dalla Costituzione. E nessuna valenza politica, nemmeno in questo caso. Forse nei risultati, ma non dipende dalla Corte. E così per le consultazioni dichiarate ammissibili: «Non è detto che attribuire agli avvocati le prerogative riservate ai magistrati nei consigli giudiziari, o cancellare l'incandidabilità di condannati, siano le soluzioni migliori; noi diciamo solo che non ci sono ragioni per impedire che ciò possa avvenire per via referendaria».
Del resto la stessa Corte ha dichiarato più volte costituzionale la legge Severino che prevedeva le norme che ora i referendari vogliono abolire. «A ognuno il suo mestiere», si sente ripetere nel «palazzo dei diritti». Dove tutti hanno chiaro che i referendum abrogativi non possono essere la strada maestra per fare le riforme, e non serve lamentarsi se a volte la si trova sbarrata perché così vuole la Costituzione.
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