Claudio Antonelli per “la Verità”
Le deleghe ai servizi di intelligence sono uno di quei temi carsici che si inabissano per poi riesplodere e riemergere in superficie con violenza. Restano però sempre a portata di mano del Consiglio dei ministri di turno. Così dopo Matteo Renzi, a portare al centro del dibattito politico le deleghe ormai saldamente in mano al premier da due anni e mezzo è stato ieri il ministro degli Affari Ue, Enzo Amendola.
Intervenendo a Omnibus ha fatto barba e capelli all'avvocato del popolo. «Confermando l'amicizia e il rispetto nei confronti di Conte», ha detto l'esponente pd, «credo che la delega sui servizi segreti sia un onere molto grande per il presidente del Consiglio, su quello aprirei una riflessione, non per mancanza di fiducia ma perché sappiamo bene che nello scenario multilaterale e politico internazionale è una delega gravosa di grandi responsabilità, una riflessione la farei», ha concluso aprendo uno scenario interessantissimo.
Da un punto di vista politico e pure tecnico. Innanzitutto, ha fatto capire che non parla per sé, ma per conto del Pd. Dunque non solo ha sfilato la palla sul coordinamento dell'intelligence dalle mani di Renzi, che in questi giorni ha bombardato il governo con il chiaro intento di minacciare cadute o rimpasti in cambio di un maggiore peso decisionale, anche e soprattutto su questi tavoli.
Non solo. Amendola ha elevato la questione da un terreno più provinciale a uno schema internazionale. Il riferimento all'impegno costante su scenari geopolitici in via di definizione porta chiaramente agli Usa di cui il ministro assieme al collega della Difesa, Lorenzo Guerini, è un grande sostenitore sempre nell'ambito delle logiche Nato. Ne segue che una fetta del Pd è consapevole di dover riallineare le strategie guardando tra Bruxelles e Washington. Tradotto, spostando l'asse più lontano da Pechino.
LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE
La richiesta di mollare le deleghe è quindi spiegata con la necessità di riposizionare il governo, non tanto e forse non solo con l'idea di riassegnare letteralmente le deleghe. In pratica il Pd sta facendo capire a Conte che se vuol mantenere l'incarico deve gestirlo in modo collegiale e non come ha fatto fino a oggi.
Gli episodi anomali sono numerosi: si va dal caso Mifsud, fino al blitz per cambiare le norme sui rinnovi dei vertici e da ultimo il tentativo di inserire in un decreto la nascita della fondazione sulla cybersecurity senza aver condiviso la mossa con gli altri ministri né con il Copasir.
Proprio quest' ultimo tema aiuta a comprendere che dietro la battaglia politica e la mossa strategica del Pd ci sono tre questioni pratiche e logistiche su cui la maggioranza non ha certo finito di scannarsi. La fondazione sulla cyber non è infatti saltata del tutto.
Nonostante Iv e Pd abbiano ottenuto di stralciare il comma dal decreto in sede di cdm, Conte sta lavorando fattivamente alla stesura di un decreto apposito. Vedremo se insisterà nel lasciare gran parte degli ambiti in mano al direttore del Dis, Gennaro Vecchione, appena rinnovato durante un cdm notturno, oppure costruirà uno schema più simile a quello disegnato dal precedente direttore, Alessandro Pansa.
Ciò consentirà un ruolo del Parlamento, delle altre agenzie e delle istituzioni pubblico-private. D'altronde tutti i partiti sono consapevoli che anche il nostro Paese deve dotarsi di una tale fondazione, altrimenti correrà il rischio di ritrovarsi a ruota dell'Europa, che ha affidato alla Romania l'incarico di dare vita al cyber security center.
In poche parole senza direttive nostrane, ci troveremmo a muoverci dentro un perimetro disegnato su misura per le aziende francesi e tedesche. L'urgenza di trovare una soluzione potrebbe indurre Conte a più miti consigli. Anche perché i partiti di maggioranza hanno fatto notevolmente pesare al premier il rinnovo di Vecchione, chiedendo di fatto di condividere in modo collegiale la scelta dei nomi dei vicedirettori.
La scorsa settimana la lista sembrava pronta. Poi è successo qualcosa e le nomine non si sono perfezionate. Sono attese adesso in occasione dell'ultimo cdm del 2020, quando sarà deciso anche il prossimo comandante generale dell'Arma. Sul tema bollente dei vicedirettori si sommano due problemi. Non tanto i nomi, ma i posti.
Annalisa Chirico Roberto Baldoni
Al momento si tratta di sostituire tre vice, mentre il governo vorrebbe piazzarne quattro. Per questo in molti avevano letto l'avvio della fondazione come un modo per dare un incarico a Roberto Baldoni (sentito ieri dal Copasir proprio sul tema della fondazione) e liberare un quarto posto, oltre ai due liberi all'Aise e a quello dell'Aisi.
Insomma, Conte ha pochi giorni per fare marcia indietro, accettare le indicazioni del Pd, accontentare anche Iv e 5 stelle senza però perdere la faccia. Chiaramente il premier ha capito di essere alle strette. Con la nomina di Joe Biden, il mondo dell'intelligence occidentale si sta riallineando.
gennaro vecchione raffaele volpi
Le nomine nostrane devono tenerne conto, ma al tempo stesso il premier non può permettersi di stravolgerle in modo palese. Non vorrebbe certo dover ammettere di essere stato commissariato. Sebbene le parole di Amendola pronunciate ieri mattina in tv siano di fatto un commissariamento.