Estratto dell'articolo di Giuseppe Leonelli per corrieredibologna.corriere.it
Dopo il ricorso alla sentenza di condanna in primo grado con rito abbreviato a sei anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo (quando giocava al Siena), si attende che la Corte di Appello fissi l'udienza, ma verosimilmente il processo di secondo grado non si aprirà prima di un paio d'anni e per una sentenza definitiva occorrerà aspettarne probabilmente altrettanti. Fino ad allora per la giustizia italiana il calciatore Manolo Portanova resta un imputato, per definizione innocente e, mancando i presupposti per misure restrittive, può continuare a svolgere la sua professione.
La sospensione
Una professione nel suo caso particolarmente esposta a livello mediatico, quella di calciatore appunto, oggi ingaggiato dalla Reggiana Calcio che lo ha rilevato dal Genoa. Del resto in Liguria il 23enne centrocampista napoletano, difeso dall'avvocato Gabriele Bordoni del Foro di Bologna, era stato sospeso proprio dopo la sentenza di condanna del 6 dicembre 2022.
Le reazioni
Ma se dal punto di vista legale non vi sono limiti oggettivi al ritorno sui campi da gioco di Portanova, resta una questione di opportunità sulla quale a Reggio Emilia, dove la squadra della città è appena stata promossa in serie B, si è aperto un acceso dibattito. Nette le prese di posizioni contrarie di associazioni femministe, attivisti e sindacati, mentre i vertici della Reggiana hanno preferito il silenzio. Anche il padre della ragazza che ha denunciato il calciatore e con lui altre tre persone tra le quali un minorenne, non nasconde la sua amarezza.
«Non vorrei più vedere giocare colui che ha leso mia figlia», commenta, sottolineando come quanto accaduto rappresenti una ferita non rimarginabile che la ragazza deve affrontare ogni giorno. «Detto questo capisco che la legge preveda che la punizione venga applicata dopo la sentenza definitiva». Una posizione sottoscritta dall’avvocato della famiglia, Jacopo Meini: «Coi tempi della giustizia attuali difficilmente si potrà giungere a una sentenza definitiva prima di quattro o cinque anni e in questo lasso di tempo sarà difficile per la famiglia continuare a vedere l'imputato calcare i campi da gioco. Purtroppo al momento questa è la situazione e non mi risulta che nemmeno la giustizia sportiva possa intervenire».
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