CAZZO, CAZZO.. CHI C'È? – L'ARTISTA FINLANDESE SAMIRA ELAGOZ RACCONTA LA SUA TRASFORMAZIONE DA DONNA A UOMO NEL FILM-PERFORMANCE “SEEK ROMANCE” CHE PRESENTERA' IL 30 GIUGNO ALLA BIENNALE DI VENEZIA – I CAPELLI BIONDI SONO RIMASTI GLI STESSI, SI SONO AGGIUNTI BAFFI: “IO CREDO CHE LA BIOLOGIA NON SIA IL DESTINO DI UNA PERSONA, MA NON SI SFUGGE AL FATTO CHE SIAMO UNA MISCELA CHIMICA. E SE CAMBI LA CHIMICA, ASSUMENDO IL TESTOSTERONE, CAMBI LA PERSONA” (D'ACCORDO, MA IL CAZZO LO COMPRI IN FARMACIA INSIEME AL TESTOSTERONE?)
Anna Bandettini per “il Venerdì di Repubblica”
Era ancora una ragazza quando nel 2017, in Cock, Cock, Who' s There? (C..zo, c..zo, chi c'è?), il più celebre dei suoi spettacoli tra cinema e live performance, mostrava una sua ricognizione sul comportamento sessuale maschile e sembrava ce l'avesse con quegli uomini, giovani e vecchi, ricchi e poveri, che, tra tentativi di seduzione e riprovevoli momenti di dominio, l'avvicinavano, lei, bella, giovane, bionda.
Oggi Samira Elagoz, filmmaker e performer, è in transizione verso la mascolinità, il viso con gli stessi capelli biondi lunghi e un accenno di baffi. Questo passaggio, lo racconta in Seek Bromance, una trans-opera, film e live, un video-diario intimo che è anche un addio alla identità femminile, ospite alla Biennale di Venezia, nel festival di teatro diretto da ricci/forte in programma a Venezia dal 24 giugno al 3 luglio dove passeranno tra gli altri artisti come Christiane Jatahy (Leone d'oro), Caden Manson, Milo Rau, Peeping Tom, Yana Ross.
Finlandese di origini egiziane, residente tra Amsterdam e Berlino, 33 anni, Samira Elagoz (il nome d'arte è rimasto lo stesso, ma si fa chiamare anche Sam), il 1° luglio riceverà il Leone d'argento, «un riconoscimento eccezionale per le opere trans, come è la mia performance», dice da regista, e da protagonista insieme a Cade Moga, artista e modello trans.
Seek Bromance che si vedrà il 30 giugno - il titolo, ispirato da un brano di Avicii del 2010, indica una esperienza d'amicizia e solidarietà intima tra uomini (bro come brothers + romance, ndr) - ed è la storia incredibile dei rischi, i problemi, la solitudine, le gioie del cambio di identità e dell'amore tra Samira e Cade.
Samira, perché mettere in scena la propria transizione?
«Non per educare le persone cis (cis è una persona la cui identità di genere corrisponde al sesso assegnato alla nascita, ndr), o per presentarci come esempi, ma per parlare di interazione tra mascolinità e femminilità, della difficoltà di scappare dagli stereotipi di questi generi e per condividere il percorso, la vita di un trans, complessa, travagliata, positiva, ammirevole, problematica e riconoscibile».
Come è la sua?
«È iniziata tardi, a 30 anni, e per di più durante la pandemia che l'ha resa piuttosto particolare. La transizione è un cambiamento in cui non sai che cosa stai costruendo, finché non guardi indietro. Non voglio generalizzare, ci sono tantissimi modi di farlo, per me la lezione è che nulla cambia eppure tutto è completamente diverso».
A cominciare dal corpo.
«Già. Io credo che la biologia non sia il destino di una persona, ma è vero che non si sfugge al fatto che siamo essenzialmente una miscela chimica. E se cambi la chimica, assumendo il testosterone, cambi la persona. L'altro aspetto è che noi siamo anche il riflesso di noi stessi negli occhi degli altri, e infatti una parte importante della transizione è il rapporto con la società, è la transizione sociale. Per me è stato difficile vedere che cosa produceva perché per la pandemia, durante il cambiamento, ero in isolamento. Vero è che per un transmascolino c'è l'esperienza maschile come confronto».
Anche i cattivi esempi di mascolinità che da donna avrà conosciuto?
«A una mia amica, parlando della transizione, spiegavo che sarei potuto diventare l'uomo che lei avrebbe voluto esistesse. Ma giustamente mi ha replicato: "Non vorrai diventare un esempio?".
Io mi vedo più come transmascolino che come uomo. Prendendo il testosterone, ovvio che ho iniziato a capire di più gli uomini e che non sono gli ormoni a rendere la mascolinità tossica, ma la pressione sociale dello stereotipo maschile, quel clichè patetico e imbarazzante del maschile "tradizionale" aggressivo, misogino, da cui spesso non sono immuni nemmeno i transmascolini.
Diciamo che al suo meglio, la transmascolinità può immaginare il futuro della mascolinità. E nel peggiore dei casi, imita i suoi fallimenti. Io preferisco il termine "androgino" o "genere personalizzato". Avendo finalmente riconosciuto che ci sono più dei due generi canonici, trovo arcaico o inappropriato anche dire non-binario, dal momento che non esiste il binario. "Genere personalizzato" è appropriato: indica che uno è quello che sta progettando di essere».
Non è un po' troppo fluido...?
«Mi sono reso conto con questa esperienza che l'assurda paura di non essere abbastanza uomo o abbastanza donna o abbastanza diverso, quell'incerta vulnerabilità è qualcosa che tutte le persone condividono. L'angoscia è angoscia, tanto che lo spettacolo evoca emozioni qualunque sia il tuo sesso. E comunque se fa sì che alcuni spettatori riconsiderino il modo in cui si relazionano al loro genere o ai trans, è un successo».
In scena c'è anche la sua storia d'amore con Cade Moga.
«Sì, da quando ci siamo incontrati, alla rottura. Cade è un'eccezionale artista trans, di origine brasiliana, residente a Los Angeles, che ho incontrato casualmente online. Per me è stato amico, collaboratore, amante, sorella, nemico...
Abbiamo trascorso insieme solo 3 mesi nel 2020 ma è sembrata una vita, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. C'era la pandemia, e la sensazione che fossimo le uniche due persone sul pianeta, noi due in un deserto... che infatti è diventato protagonista del lavoro. Mostrare il nostro amore è la cosa più politica che potevo fare. I trans nei media sono descritti come solitari, isolati, con valori strani.
Qui no, e il pubblico vede due storie vere: nel film, io con il mio passato quando ero confuso, il mio cambiamento, io con Cade, e sul palco il mio presente».
Che cosa ricorda di Samira donna?
«È stato grandioso finché è durato. E resta il fatto che la mia femminilità ha plasmato chi sono oggi, quindi anche se non è più qualcosa che voglio essere, rimane una parte del mio curriculum vitae».