Elena Meli per “Salute - Corriere della sera”
Non si vede, non si sente, ma può fare tanti danni alla salute.
Il livello di colesterolo è, con pressione e glicemia, uno dei parametri da conoscere per avere un' idea del rischio di infarti e ictus e poter così intervenire per mettersi al sicuro. Ma quali sono i valori da considerare, perché è così pericoloso, come agire per ridurlo?
A questo e altro rispondono le nuove linee guida dell' European Society of Cardiology e un incontro tematico dell' ultimo Festival della Scienza di Bologna, dove Maurizio Averna, responsabile del Centro Dislipidemie Genetiche del Policlinico Giaccone di Palermo, Claudio Borghi, direttore dell' unità di Medicina Interna del Policlinico Sant' Orsola di Bologna, e Claudio Rapezzi, direttore dell' Unità Complessa di Cardiologia del Policlinico di S.Orsola di Bologna, hanno chiarito tutto quello che avremmo sempre voluto sapere sul colesterolo. In questa pagina una sintesi delle loro indicazioni.
IL COLESTEROLO È BUONO O CATTIVO?
Tutti e due. Il colesterolo è uno solo e oltre che essere indispensabile (per le membrane delle cellule, per la sintesi di alcuni ormoni, della vitamina D, della bile) non ha un' anima da esprimere; quel che fa la differenza è la modalità con cui viene trasportato nel corpo.
È infatti una molecola liposolubile , così ha bisogno di essere racchiuso in involucri che contengono anche proteine: sono questi involucri a determinarne il destino. I due tipi principali sono le lipoproteine a bassa densità o Ldl , che portano il colesterolo verso i tessuti periferici perché possa essere utilizzato, e le lipoproteine ad alta densità o Hdl che invece servono a portare il colesterolo al fegato, dove viene smaltito.
I guai cominciano quando c' è troppo colesterolo legato alle Ldl, per esempio perché se ne produce in eccesso per colpa di una dieta squilibrata troppo ricca di grassi: il colesterolo Ldl tende infatti ad andare verso la parete delle arterie e accumularsi, formando placche che si ispessiscono ostacolando il flusso del sangue.
Volendo affibbiare nomignoli poi ci sarebbe pure il colesterolo «brutto»: è quello in Vldl ( lipoproteine a densità molto bassa ) e chilomicroni (a densità ancora più bassa, molto grandi), che trasportano soprattutto trigliceridi. È perciò una sorta di «residuo» che però, secondo un recente studio danese, contribuisce al rischio cardiovascolare (si veda la domanda n°3): diminuire il colesterolo brutto e con lui i trigliceridi abbassa del 25 per cento il pericolo di infarti e ictus.
QUALI SONO I VALORI NORMALI?
È praticamente impossibile definire uno spartiacque oltre cui iniziano di sicuro le complicanze che sia valido per tutti: per molto tempo ci sono state soglie rigide, oggi si è capito che serve considerare la storia clinica del paziente e le sue caratteristiche perché un valore del tutto innocuo per una persona potrebbe essere pericoloso in un' altra e quindi la soglia reale è individuale.
In linea di massima più sale il rischio cardiovascolare complessivo, più scende il limite di sicurezza: in un 45enne avere il colesterolo Ldl a 115 può essere accettabile, lo stesso valore in un 70enne deve mettere in allarme.
Non ci sono perciò numeri «magici» da cercare anche se in media, per un soggetto adulto sano senza particolari fattori di pericolo e con un rischio cardiovascolare basso o moderato (si veda domanda n°6), il colesterolo Ldl dovrebbe essere inferiore a 115 milligrammi per decilitro di sangue, l' Hdl compreso fra 40 e 70 e il colesterolo totale più basso di 200; in chi è ad alto rischio (come ipertesi, soggetti con dislipidemie familiari o insufficienza renale cronica moderata, diabetici senza altri elementi di pericolo) bisogna stare sotto i 100 mg/dl; se il pericolo è molto alto, la soglia scende a 70mg/dl.
Il colesterolo poi dipende anche dall' età: nei neonati, che sono in fase di crescita esponenziale e usano colesterolo in gran quantità per sintetizzare le membrane delle tante nuove cellule di cui hanno bisogno, il colesterolo totale in media è attorno a 60 e quello Ldl a 20.
QUAL È IL “NUMERO” PIÙ IMPORTANTE?
Non è né l' Hdl, né l' Ldl: il valore di cui si dovrebbe tenere maggior conto è il colesterolo non-Hdl , ovvero quello totale a cui sia stato tolto il valore dell' Hdl. Il colesterolo che viaggia verso i tessuti infatti non è solo l' Ldl, ma anche quello in chilomicroni e Vldl che sta in «palline» più grosse e per lo più ricche di trigliceridi: anche questo colesterolo può essere dannoso e così, per misurare con precisione la quota di rischio, si dovrebbe fare il dosaggio di apolipoproteina B, sempre associata a tutti i «pacchetti» di colesterolo che possono far danni.
I dati mostrano che il valore dell' apolipoproteina B sarebbe ancora più predittivo del rischio cardiovascolare rispetto ai test sul colesterolo, ma non è un esame di routine nei laboratori di analisi; tuttavia, siccome esiste una correlazione perfetta fra il valore dell' apolipoproteina B e quello del colesterolo non-Hdl, basta fare la semplice sottrazione detta sopra per avere un dato realistico del proprio rischio cardiovascolare, ancora più utile del considerare il solo colesterolo Ldl.
Esistono infatti pazienti in cui il colesterolo Ldl è relativamente basso ma che vanno comunque incontro a un infarto: in buona parte è colpa del pericolo residuo indotto dal colesterolo «brutto» portato in giro dalle lipoproteine addette al trasporto dei trigliceridi.
Detto ciò, il colesterolo Ldl è la parte maggiore della componente non-Hdl, quindi resta comunque un ottimo (e semplice) indicatore, veritiero per la maggioranza dei pazienti.
È VERO CHE BISOGNA FARLO CALARE IL PIÙ POSSIBILE?
Diversi studi sembrano suggerire che non esista un «effetto pavimento» per il colesterolo Ldl, che sembra quasi non sia mai abbastanza basso: più scende, più cala la probabilità di malattie cardiovascolari. Il rischio di infarti e ictus per esempio è di circa il 20 per cento entro due anni se le Ldl sono a 180, si abbassa a poco più del 10 per cento se le Ldl sono a 120, si abbatte fino al 2 per cento con un valore di 50.
I dati accumulati in merito sono talmente tanti che anche le linee guida sulle dislipidemie appena diramate dall' European Society of Cardiology e l' European Atherosclerosis Society sottolineano la necessità di ridurre il più possibile il colesterolo Ldl per diminuire il pericolo di eventi cardiovascolari: non c' è un limite inferiore oltre cui non scendere e una riduzione forte delle Ldl quasi elimina la probabilità di guai connessi all' eccesso di lipidi nel sangue.
Così oggi non si sospendono o si riducono necessariamente le terapie neanche se il colesterolo Ldl è sceso a 50 o 40; in chi è ad alto rischio l' obiettivo è arrivare al proprio valore soglia ideale e come minimo a una riduzione relativa del 50 per cento rispetto al livello iniziale. Tutto questo perché gran parte dell' Ldl ce lo fabbrichiamo noi con lo stile di vita, quello che arriva da madre natura è intorno ai 20 e non avremmo bisogno di molto altro.
È la cosiddetta «evoluzione lipidica»: un neonato ha un colesterolo totale attorno a 60, lo stesso i membri delle tribù di cacciatori-raccoglitori, nella Cina rurale già la media è 135, in quella urbana 175.
PERCHÉ IL COLESTEROLO FA MALE?
Perché si «attacca» alle arterie e provoca ispessimenti e irrigidimenti che poi portano ad aterosclerosi e alla formazione di placche e trombi che, staccandosi, possono provocare infarti e ictus.
Il problema diventa ancora più esplosivo se già si è avuto un infarto, perché l' evento aumenta l' instabilità delle placche aterosclerotiche che fino a quel momento erano rimaste stabili: il rischio di un ulteriore nuovo infarto è molto elevato in chi ha il colesterolo alto e per questo motivo dopo un infarto la terapia diventa ancora più aggressiva.
L' obiettivo è scongiurare che il «cappuccio» fibrotico che copre il colesterolo sui vasi si rompa facendolo fuoriuscire, innescando così potenti fenomeni di coagulazione che possono portare a una nuova formazione di trombi, anche più grandi della placca di partenza.
Il colesterolo alto è più pericoloso anche in chi ha altri fattori di rischio che potrebbero diventare elemento scatenante di un infarto, come il fumo, la pressione alta, il diabete: la probabilità di infarto complessiva può risultare perfino maggiore rispetto a chi ha già avuto un evento cardiovascolare.
Inoltre, per conoscere il vero rischio da colesterolo occorre sapere da quanto ci si convive: il «carico» di malattia dipende infatti dall' esposizione e quindi sale molto al crescere degli anni passati coi valori alterati.
Sarebbe perciò opportuno fare i test da giovani, anche prima dei 18 anni se ci sono casi di ipercolesterolemia in famiglia: prima scende il colesterolo alto, meglio è.
QUANDO SERVONO I FARMACI?
Occorre sempre considerare il «numero» del colesterolo in relazione agli altri elementi di rischio; una prima auto-valutazione è possibile sul sito del Progetto Cuore dell' Istituto Superiore di Sanità (www.cuore.iss.it), che tiene conto di elementi come età, fumo, diabete, pressione e colesterolo.
Una volta individuato il profilo di rischio è bene sapere che il primo passo è sempre un miglioramento dello stile di vita (si veda alla pagina seguente), ma se la probabilità di infarti e ictus è alta non si può stare a guardare; lo stesso vale per chi ha già avuto un infarto o un ictus e abbia anche il colesterolo alto.
In questi casi dieta e sport spesso non bastano e si passa subito ai farmaci, statine in prima battuta ma poi anche ezetimibe , un principio attivo che blocca il trasporto intestinale di colesterolo e quindi riduce l' assorbimento di quello che viene introdotto coi cibi.
Se anche questo non basta a riportare il colesterolo Ldl sotto il livello di guardia e il pericolo resta alto si possono aggiungere gli anticorpi contro la proteina PCSK9, che in associazione con statine ed ezetimibe possono ridurre l' Ldl anche fino al 70 per cento.
Si tratta di una nuova classe di farmaci prescritti a pazienti ad alto e altissimo rischio, con un meccanismo d' azione diverso dagli altri: PCSK9 è infatti una proteina che regola l' attività del recettore cellulare che «acchiappa» il colesterolo Ldl in circolo, se c' è molta PCSK9 il recettore viene eliminato e il colesterolo resta nel sangue, se si blocca la proteina e ce n' è poca il recettore continua a fare il suo lavoro e il colesterolo.
QUALI SONO I RISCHI DELLE TERAPIE?
Soprattutto le statine hanno fatto tanta paura in passato, quando si sono registrati casi gravi di alterazioni muscolari; tuttavia il rischio è basso se la terapia viene monitorata accuratamente facendo esami periodici per valutare la funzionalità epatica, tenendo conto degli altri farmaci assunti (le interazioni sono frequenti) e riferendo al medico la comparsa di eventuali dolori muscolari (succede a uno su sei, ma non necessariamente si andrà incontro a qualcosa di peggio).
Le statine, che agiscono nel fegato impedendo la sintesi del colesterolo, sono considerate sicure al punto che di recente ricercatori statunitensi hanno proposto di prescriverle anche in chi ha un livello di rischio cardiovascolare soltanto moderato; tuttavia diventano meno tollerabili al crescere della dose e così, siccome raddoppiando il dosaggio di statina il colesterolo Ldl scende ancora del 4-7 per cento ma se si associa ezetimibe il calo raggiunge almeno il 15 per cento, quando una statina non funziona abbastanza si preferisce una combinazione.
Un po' per la paura di effetti collaterali, un po' perché il colesterolo alto non si «sente», le statine sono fra i farmaci più abbandonati dai pazienti: secondo le stime entro soli sei mesi dalla prima prescrizione già il 30-40 per cento dei pazienti non le prende più, a due anni di distanza oltre la metà ha smesso.
Eppure il rischio maggiore è ritrovarsi in breve tempo con il colesterolo di nuovo alto e una probabilità elevata di eventi cardiovascolari: per ogni riduzione del colesterolo Ldl di 40 mg/dl scende del 25 per cento il pericolo di infarti e ictus, la probabilità di problemi muscolari gravi da statine invece è inferiore allo 0,1 per cento.