Beda Romano per ''Il Sole 24 Ore''
È con grande attenzione che la Commissione europea sta seguendo in Italia la vicenda Vivendi-Mediaset. La questione, scoppiata per via di una misura legislativa attualmente in discussione in Parlamento, non è in prima battuta tema di concorrenza, bensì riguarda il principio della pluralità dei media, che in Europa non è oggetto di particolare legislazione comunitaria, ma è ritenuto uno degli obiettivi della direttiva sui servizi audiovisivi, che risale al 2010.
Bruxelles, spiega il portavoce Johannes Bahrke, «riconosce la massima importanza alla tutela del pluralismo dei media. Le misure nazionali devono essere proporzionate a questo obiettivo e quindi non andare oltre quanto necessario per raggiungerlo. Le autorità italiane devono garantire che le leggi nazionali volte a tutelare il pluralismo dei media siano conformi alle libertà economiche dei Trattati secondo l’interpretazione della Corte europea di giustizia, anche nella più recente sentenza Vivendi».
Su proposta del governo Conte, il Senato ha inserito in un decreto dedicato alla pandemia influenzale un emendamento controverso. Questo stabilisce che nel caso una società operi contemporaneamente sul mercato delle telecomunicazioni e su quello dei mass media, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni possa aprire un'istruttoria entro sei mesi per valutare se la situazione che si è venuta a creare possa mettere a repentaglio la libera concorrenza o ledere il pluralismo dei media.
L'emendamento prevede che l'Agcom potrà nel caso adottare dei provvedimenti per eliminare i danni. Molti osservatori in Italia ritengono che la norma sia stata ideata per proteggere Mediaset dalla possibile scalata di Vivendi, in un eclatante esempio di conflitto d'interesse nella persona di Silvio Berlusconi, presidente di partito e proprietario di azienda. La norma, ancora in discussione, modifica nei fatti una regola precedente, la cosiddetta Legge Gasparri.
Quest'ultima vieta a una società con una quota di mercato più alta del 40 per cento nel settore delle telecomunicazioni di detenerne al contempo una più alta del 10 per cento in quello dei mass media. Attualmente Vivendi è azionista sia di Telecom Italia che di Mediaset. Nel 2017, alla luce di questa norma, Agcom aveva chiesto alla società francese di ridurre la sua presenza azionaria in Mediaset. Vivendi si era adoperata in tal senso, ma nel contempo aveva fatto ricorso alla Corte europea di Giustizia.
In settembre, la magistratura comunitaria aveva ritenuto la Legge Gasparri, che risale al 2004, in violazione del diritto europeo. La Corte aveva spiegato che il provvedimento legislativo italiano costituisce un ostacolo illegittimo al diritto di stabilimento di una società in un paese membro in quanto non è idonea a conseguire l'obiettivo di tutela del pluralismo dell'informazione (si veda Il Sole/24 Ore del 4 settembre).
Nota un esponente comunitario: «Alcuni elementi della disposizione italiana (la Legge Gasparri, ndr) sono sproporzionati sotto diversi aspetti: si riferisce al settore delle telecomunicazioni in generale, senza identificare i mercati specifici che hanno legami con i media; e omette di distinguere tra la produzione di contenuti mediatici e la distribuzione di contenuti mediatici. Peraltro, la disposizione italiana (…) si riferisce ad un settore che non costituisce un mercato in una ottica economica».
Come detto, la Commissione non considera la questione un caso di concorrenza, ma di pluralità dei media, un ambito regolato dai Trattati e da una direttiva del 2010. Bruxelles non può commentare ufficialmente il decreto in discussione, poiché ancora non è stato votato in Parlamento. Potrà tuttavia esaminarlo una volta approvato, così come il governo italiano può certamente notificare la norma alle autorità comunitarie per avere il loro punto di vista.
Osserva da Milano Edoardo Gambaro, partner dello studio legale Greenberg Traurig Santa Maria: «Tra i casi non dissimili a quello Vivendi/Mediaset, c'è quello relativo all'acquisizione di Sky da parte di Fox. Ci fu il benestare antitrust della Commissione europea, ma le autorità inglesi notarono nel 2018 che l'operazione avrebbe inciso negativamente sul pluralismo dei media e decisero quindi di subordinare l'autorizzazione dell'operazione all'attuazione di rimedi strutturali».