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Estratto dell’articolo di Franco Bechis per www.open.online
La perizia giurata è firmata dal commercialista e revisore dei conti milanese Massimo Rho e porta la data del 20 gennaio 2023. Poco tempo prima Chiara Ferragni gli aveva dato l’incarico di stimare il valore della partecipazione personale del 32,50% alla società Fenice srl, perché voleva trasferire come poi ha fatto quella quota dalla propria persona fisica e un’altra sua società, la Sisterhood srl.
È un documento finora inedito che rischia di complicare la vita alla Ferragni proprio nel momento del suo maggiore bisogno, ora che con la forte contrazione del fatturato in seguito al caso Balocco ha bisogno di cercare nuovi soci per Fenice srl e un apporto di capitale di 6 milioni di euro, come ha svelato Rosario Dimito sul Messaggero.
La quota di Chiara in Fenice valeva poco più di 1,5 milioni
Quella perizia giurata che risponde alla domanda «Quanto vale Fenice srl?» solo un anno fa aveva valutato la società quasi venti volte meno del valore di 75 milioni di euro che oggi la Ferragni usa come riferimento per un aumento di capitale in grado di ottenere quei 6 milioni di euro di apporto.
perizia del gennaio 2023 del consulente Massimo Rho sulla Fenice di Chiara Ferragni
Il commercialista Rho, infatti, aveva stimato il 100% di quella società appena 4,5 milioni di euro, stabilendo che il valore di riferimento della quota della Ferragni ammontava a 1.538.875 euro. Per arrivare a quella cifra il commercialista ha scelto di valutare Fenice srl secondo il metodo patrimoniale, che per altro è uno dei metodi di valutazione più comuni.
Nella sua relazione Rho scriveva di ritenere che «il metodo patrimoniale semplice sia quello che possa garantire un risultato il più possibile oggettivo, riducendo largamente ogni possibile margine di arbitrio e, conseguentemente, ritiene opportuno adottarlo ai fini della effettuazione della presente valutazione riferita al bene oggetto del conferimento”» […]
Quella valutazione oggi diventa un hara-kiri per la Ferragni
Il valutatore poi spiega che «gli altri metodi di valutazione, reddituali, finanziari, empirici che utilizzano criteri valutativi basati sulla capacità delle aziende di creare profitto e/o flussi finanziari non sono parsi coerenti con le finalità dell’operazione di conferimento esaminata».
E qui rischia proprio di esserci l’hara-kiri della Ferragni che non immaginava certo la situazione in cui si sarebbe trovata poco più di un anno dopo. Il commercialista ha cercato il metodo che tenesse il più basso possibile la valutazione per non rendere eccessivamente oneroso il passaggio della quota dalla Ferragni a Sisterhood.
Così non ha valutato se non per le cifre in bilancio dopo ammortamento nemmeno il marchio Chiara Ferragni, né voluto ipotizzare lo sviluppo futuro di fatturato e utili. Ma nel giro di un anno anche questo aspetto è diventato un boomerang per la Ferragni, visto che le vendite sono crollate e il caso Balocco la sta costringendo alla ricerca di altri soci. Adesso prescindere da quella valutazione di un anno fa o discostarsene sensibilmente rischia di essere davvero difficile davanti alla parabola discendente.
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