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UNA VITA DA RIVERA - "DA RAGAZZO ERO JUVENTINO - BERLUSCONI CONSIDERA TUTTI AL SUO SERVIZIO, E NESSUNO ALLA SUA ALTEZZA - ZOFF O BUFFON? ALBERTOSI - MESSI O MARADONA? PELE’ - IL REFERENDUM? VOTO NO. LA DC AVREBBE GOVERNATO ALTRI 40 ANNI, SE NON LE AVESSERO CAMBIATO IL NOME E AVESSERO LASCIATO SPAZIO A SEGNI - L’UNICO PUNTO DI RIFERIMENTO IN POLITICA E’ PAPA FRANCESCO"

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Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera"

 

R ivera, cosa le urlò Albertosi dopo il 3 a 3 della Germania?

«Parole irriferibili per i lettori del Corriere ».

E lei cosa rispose?

«Se voglio tornare in Italia, adesso mi tocca andare a far gol».

 

Mancano 9 minuti alla fine del secondo tempo supplementare.

«Vado a centrocampo con un' idea fissa: ora scarto tutti i tedeschi ed entro in porta con la palla. Ma mi trovo di fronte un muro bianco, e tocco per De Sisti, che allunga a Facchetti, che lancia Boninsegna. Io intanto corro verso la porta».

 

Brera la paragonò ad Achille: «Al giovane eroe ha ridato la lancia Pallade Atena…».

«La vita ti dà sempre un' altra occasione».

Boninsegna crossa all' indietro.

«Io mi preparo a tirare di collo sinistro nell' angolo destro. Poi vedo Maier che sta per tuffarsi proprio lì; così cambio piede, cambio direzione, e la metto di piatto destro nell' angolo sinistro. Sento un tuffo al cuore; Maier sta per prenderla di piede; ma ormai è a terra, la palla entra…».

 

gianni rivera laura marconigianni rivera laura marconi

È stato il momento più bello della sua vita?

«Ma no. È stato tutto bellissimo: ho fatto quel che mi piaceva, giocare a pallone. Poi c' è stata la famiglia.

L' amore per Laura, mia moglie. La notizia che nostro figlio Giovanni si sarebbe salvato».

Cos' ha avuto vostro figlio?

«La stessa malattia di mia sorella Maria Luisa, morta a nove mesi, prima che io nascessi: il morbo blu. Un difetto cardiaco incurabile nel 1942, che oggi si risolve con un piccolo intervento. Solo allora mia madre mi disse che Maria Luisa era nata lo stesso giorno e lo stesso mese di Giovanni: 22 gennaio. Ho sentito che era un po' come se lei fosse tornata a vivere in lui».

 

Come si chiamavano i suoi genitori?

«Edera e Teresio. Così decisero di darmi un nome da cristiano: Gianni. Ma non si poteva: santi di nome Gianni non ce n' erano. Infatti mi chiamo Giovanni. Come entrambi i miei nonni».

 

Cosa facevano?

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«I nonni paterni, contadini a Valle San Bartolomeo, frazione su un bricco sopra Alessandria: coltivavano grano, nocciole e uva, con cui facevano il vino. I nonni materni avevano l' osteria del borgo».

Lei è nato il 18 agosto 1943, in piena guerra. «Papà era operaio alle ferrovie: aggiustava le locomotive. Quando suonava l' allarme aereo scappava in bicicletta, andava a prendere mia mamma incinta e la portava in collina. Io sono nato durante una di queste fughe».

 

Ricorda qualcosa della guerra?

«Lampi fuori dall' androne di casa. Ricordo bene invece lo schianto del Grande Torino a Superga. Anche se simpatizzavo per la Juve».

 

Rivera juventino?

«In Piemonte si tifava per Boniperti e John Hansen».

 

Lei si sente piemontese o milanese?

«Mi sento italiano. Alessandria è in Piemonte ma avverte l' influsso della Liguria, dell' Emilia. E guarda a Milano».

Dove lei arrivò a 16 anni.

gianni rivera e nicola pietrangeligianni rivera e nicola pietrangeli

«Ero alle Olimpiadi e i miei fecero il trasloco in treno: non avevano molto da portare via. Vivevamo in due stanze: una cucina e una camera da letto, dove dormivamo in 4, visto che era arrivato mio fratello Mauro. Quando a 15 anni esordii in serie A con l' Alessandria, ebbi diritto al divano letto in cucina. Il bagno era in comune con i vicini».

Com' era la Milano del 1960?

«Ti faceva sentire a casa».

 

E la Roma olimpica?

«Torrida. Passammo una notte al Villaggio olimpico senza chiudere occhio: caldo africano. Per fortuna ci spostammo a Grottaferrata. Eravamo ragazzini: Bulgarelli, Trapattoni, Burgnich. I favoriti erano gli jugoslavi, tutti professionisti. In semifinale li fermammo sullo 0 a 0. Allora c' era il sorteggio. Capo delegazione era Umberto Agnelli. Entrò nello spogliatoio quasi piangendo: avevamo perso».

Gipo Viani la chiamò il Bambino d' Oro.

«Viani era un personaggio. Alla Salernitana procurava i soldi per le trasferte giocando a poker. Dovette smettere di allenare perché tirava sberle impressionanti ai giocatori. Così inventò per sé la figura del direttore generale».

Poi arrivò Rocco.

RIVERA ROCCORIVERA ROCCO

«C' erano gli spogliatoi degli atleti e quelli dei tecnici; lui spostò l' armadietto accanto ai nostri. Faceva la doccia con noi, ci raccontava della moglie, dei figli».

 

Parlava dialetto o italiano?

«Rocco era convinto di parlare italiano; in realtà adattava il triestino, che imparammo rapidamente anche noi. La stampa lo attaccava perché ignorava la tattica, e lui ci rideva su: "La tattica xè questa: ti Cudicini in porta, tuti voialtri fora"».

A 19 anni il primo Mondiale: il Cile.

«I giornali italiani scrissero che vi infuriava la prostituzione. I cileni si offesero a morte. Giravamo a deporre fiori a tutti gli eroi nazionali. All' esordio ognuno lanciò al pubblico il suo mazzolino; ci tornarono indietro pieni di sassi».

E il Cile ci batté 2 a 0.

«Avevamo pareggiato con la Germania, e cambiammo mezza squadra. Ct era Ferrari, ma comandava Mazza, il presidente della Spal. Si capiva chi erano i titolari perché mangiavano per primi, poi andavano a riposare. Altafini vide Sormani a tavola, si indispettì, e improvvisò uno scatto davanti a Mazza: "Guardi come sono in forma!"».

 

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E Mazza?

«Gli rispose: "Va bene José, mangia". Quando Sormani si svegliò dal riposino, Sivori gli sorrise: "Puoi tornare a letto, non giochi più". Finì malissimo».

Nel 1966, la Corea

«Bulgarelli aveva male al ginocchio. Si ruppe subito. E non c' erano le sostituzioni».

Lei uscì dal giro azzurro.

«Ct divenne Herrera, che voleva far giocare solo l' Inter. Per fortuna Brera mi riportò in Nazionale».

 

Brera? Ma non eravate nemici?

«Lui mi aveva scelto come nemico. Ma guai a chi gli toccava Rivera. Se qualcuno mi attaccava, prendeva le mie difese. Quella volta mi invitò a cena da "A' Riccione", il ristorante di pesce dove ogni mercoledì riuniva artisti e scrittori. E mi disse che, siccome stavo giocando bene e gli mancavo, avrebbe scritto che dovevo tornare in azzurro, e fatto sì che accadesse. Accadde».

 

Nel 1968 vinceste gli Europei.

«Io mi stirai all' inizio della semifinale con l' Urss. Giocai zoppicando. Finì 0 a 0. Ma quel sorteggio non lo perdemmo».

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In Messico inventarono le sostituzioni. E la staffetta Mazzola-Rivera.

«Me ne fecero di tutti i colori. Per convocare Boninsegna sacrificarono il mio amico Lodetti…».

 

Che correva anche per lei.

«Correvamo tutti. Brera scrive: "Puoi anche essere il Gesù Cristo del calcio in terra, ma se trovi un brocco disposto a correre più di te, non puoi giocare". Fatto sta che esclusero anche me, con il pretesto del mal di stomaco».

«La vendetta di Montezuma».

«Ct era Valcareggi, ma comandava Mandelli. Lo attaccai. Voleva rimandarmi in Italia. Finirono per mettere Sandro nel primo tempo e me nel secondo. Un' assurdità».

 

Com' erano i vostri rapporti?

«Ottimi. Nel '68 avevamo fondato insieme l' associazione calciatori, con grande rabbia dei tifosi: un milanista non doveva frequentare Mazzola».

Nella finale con il Brasile lei giocò solo sei minuti.

«Al posto di Boninsegna. La partita era già persa. Non la considerai un' offesa; era un gesto di sensibilità di Valcareggi. Per noi una presenza in Nazionale era tutto».

 

Nel 1969 il suo Milan vinse la Coppa dei Campioni contro l' Ajax di Cruijff.

«E l' Intercontinentale contro l' Estudiantes: 3 a 1 a Milano; a Buenos Aires segnai subito io, e cominciò la caccia all' uomo. A Combin spaccarono il naso, poi lo arrestarono. Rocco si impuntò: senza di lui non si riparte».

Nel 1972 le diedero tre mesi di squalifica.

«Dissi che gli arbitri volevano far perdere lo scudetto al Milan per farlo vincere alla Juventus. Come poi accadde».

1973: la fatal Verona.

«Avevamo battuto il Leeds nella finale di Coppa delle Coppe, sotto la pioggia: una partita durissima. Buticchi chiese un rinvio di due giorni, Franchi lo negò: "Tanto vincete lo stesso". Una frase che si prestava a essere male interpretata. Perdemmo».

 

Ai Mondiali del 1974 la esclusero dalla partita decisiva con la Polonia.

«Bastava un pareggio. Si tentò di vincere. Il primo tempo finì 2 a 0 per loro».

Scrive Brera: «Nell' intervallo partono penose processioni verso gli spogliatoi polacchi…».

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 «Ho sentito molte storie su quella partita. Non so se ci furono profferte da parte nostra, o da parte loro. Peccato perché la squadra era fortissima. Agitata dai laziali: Wilson, Chinaglia. Con un fuoriclasse: Capello».

Lei era vicino a un personaggio discusso: padre Eligio.

«Gli sono vicino tuttora. Straordinario, coltissimo. Del calcio non gli importava nulla, ma era attento all' Uomo. Con la U maiuscola».

 

Zoff o Buffon?

«Albertosi. Buffon è stato più forte, Zoff più grande; ma Albertosi aveva una classe naturale che non ho mai rivisto in un portiere».

 

Maradona o Messi?

«Pelé. Aveva un sinistro come quello dei due argentini; e aveva anche il destro. Ed era fortissimo di testa».

Brera: «O rey dà la strana impressione di essere già appeso all' alto ramo di un mango…».

«Altafini mi raccontò che Pelé era bravo anche in porta. Se il calcio non fosse esistito, l' avrebbe inventato lui».

 

Con Berlusconi non vi siete presi. Come mai?

«Perché considera tutti al suo servizio, e nessuno alla sua altezza».

Lei andò in Parlamento con la Dc…

«Che avrebbe governato altri 40 anni, se non le avessero cambiato il nome e avessero lasciato spazio a Segni».

…E al governo con l' Ulivo.

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«Cinque anni da sottosegretario alla Difesa. Scoprii un mondo in cui mi riconobbi: l' Italia, il tricolore, l' amor di patria».

 

Come vota al referendum?

«Voto No. Le riforme costituzionali non le fa il governo».

 

Chi le piace in politica?

«L' unico punto di riferimento è papa Francesco».

 

Lei crede nella vita dopo la morte?

«Sì. Purtroppo dall' aldilà non ci possono parlare. Ma talvolta ci mandano qualche segnale. Come mia sorella, attraverso mio figlio».

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