A POCHE SETTIMANE DALL'INAUGURAZIONE A SAN PIETROBURGO DI MANIFESTA 10, LA BIENNALE PIÙ GIOVANE D'EUROPA, LA CRISI POLITICA ARRIVA A GUASTARE LA FESTA: PER GLI ARTISTI GIOVANI E IMPEGNATI MANIFESTA NON PUÒ ESSERE INDIFFERENTE ALL'INVASIONE DELLA CRIMEA

Alessandra Mammì per Dagospia

Bel guaio. Quando si decise di portare Manifesta10 a San Pietroburgo come simbolo dell'unione artistica d'Europa e omaggio ai 250 anni dell'Hermitage, nessuno pensava che Putin avesse intenzione di invadere la Crimea. Invece a poche settimane dall'inaugurazione della Biennale più giovane d'Europa e più simbolica dell'Unione (28 giugno), la crisi politica arriva a guastare la festa.

Tutto diventa improprio. Il Manifesto col transgender imparruccato; il pacifista chief curator di questa edizione Kasper König l'uomo che fondò Portikus sulle ceneri della biblioteca distrutta a Francoforte e ne fece uno dei centri di ricerca artistica più importanti della rinascita MittleEuropea; gli artisti giovani e impegnati che già scalpitano e manifestano dissenso a varcar la frontiera per una Manifesta che a loro parere non può essere indifferente all'invasione.

Insomma un bel pasticcio art-politico. Persino in Russia si avverte qualche imbarazzo. Lo sbarco di Manifesta con le inevitabili discussioni, provocazioni ed esibizioni di rinunce dell'ultim'ora, desta preoccupazione. Pubblicità di cui si vorrebbe volentieri fare in meno. In fondo non è mica un business come le Olimpiadi e l'amore per la cultura contemporanea ai tempi di Putin segna il passo.

Per non parlar del problema di tenere a bada un manipolo di scalmanati creativi olandesi- spagnoli- italiani- tedeschi o belgi convincendoli a non provocar troppo il comune senso del pudore o dell'opportunità della Russia di Putin che, com'è noto, è diverso dal nostro. "Sesso, religione, politica omosessualità... ragazzi mettete un freno" deve aver detto König. Almeno è quanto si evince da diplomatiche interviste rilasciate qua e là dove il direttore rassicurava di non voler mostrare opere che avessero l'aspetto di una provocazione.

Sembra facile, ma. Intanto da Amsterdam sede dell'organizzazione della biennale, Hedwig Fijen a capo di tanta impresa ricorda che quando fu bombardato l'Iraq nessuno si sognò di cancellare mostre a New York. Ma se lei ha bisogno di dire una cosa simile vuol dire che siamo già nella tempesta. Tanto nella tempesta da pubblicare sul sito una problematica e bellissima intervista sul tema a Mikhail Piotrovsky direttore dell'Hermitage. Dalla parte della Russia. Eccola: http://manifesta.org/2014/03/interview-dr-m-piotrovsky-on-manifesta-10/

 

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