prada pontile venezia fondazione

‘’C’È VITA OLTRE LO SMARTPHONE” - DAGO: “UNA BIENNALE DI ROTTURA, CONCRETA E TEMPESTIVA, FATTA DI MATERIALI E NON DI PIXEL, SOCIALE MA NON SOCIAL, CHE PREFERISCE IL REALE AL REALITY, IL SINISTRISMO AL NARCISISMO, LA STORIA ALLA SCORIA, IL NOI ALL’IO”

the key in the hand di chiharu shiota al padiglione giapponese della biennale di veneziathe key in the hand di chiharu shiota al padiglione giapponese della biennale di venezia

Manuela Pivato per La Nuova Venezia - http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia

 

Ecco una Biennale di sostanza, concreta e tempestiva. Ecco un Roberto D'Agostino insolitamente docile – ma solo per poco – elencare sulla punta delle dita cariche di anelli le molte virtù di questa mostra internazionale d'arte, a partire dal suo essere distante dalla fuffa del web e, per contro, vicina agli alberi, le chiavi, i coltelli, le maschere antigas; tutta roba solida.

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In laguna insieme alla bella moglie Anna, cappello nero e una passione viscerale per i dolcetti al cioccolato dell’hotel Danieli, il giornalista che sabato prossimo festeggerà i 15 anni del sito di retroscena Dagospia da una settimana gira tra i padiglioni, annusa, curiosa, prende appunti e confronta.

 

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Che Biennale è?

«È una Biennale di rottura, che segna il giro di boa, perché spiega come oltre Twitter e Facebook ci sia un altro mondo. Un mondo che va raccontato e vissuto e che non è per niente virtuale. È una Biennale tangibile, fatta di materiali e non di pixel, una Biennale che fa veder com'è la gente e non quanto è social».

 

E il futuro del titolo del curatore Enwezor?

«L'arte contemporanea è, o almeno dovrebbe essere il barometro del futuro. Ma attenzione a non confondere il futuro con il capitalismo di Internet. Il web, con il quale peraltro ci campo, sembra aver ridotto gli individui a una sola dimensione, con un'intera generazione di giovani e meno giovani chini sui loro smartphone a mandare foto. Questa Biennale ci dice che non è così e che ci sono altri mondi per il futuro. E' una sorta di rieducazione estetica di cui avevamo molto bisogno».

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Ma senza Internet è ormai impossibile vivere.

«Guardi, le dico solo che da giorni sto ragionando su come sia possibile che la notizia più cliccata sia quella sulla faccia di Gabriel Garko. Credo che sia necessario avere un contrappeso a tutto questo».

 

Quindi?

«Quindi vado a vedere il padiglione del Giappone e mi riconcilio con il mondo. Quei fili rossi dai quali pendono le chiavi di tanti vite sono meravigliosi. O il padiglione russo, con quella gigantesca, inquietante maschera antigas».

 

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Pollice verso?

«Il Padiglione Italia. Completamente avulso da tutto. Sembra Luxor. Non lascerà traccia.

 

E l'incidente da Prada?

«Quello sì, tantissima. È stato la vera performance della Biennale, con gli imbucati alla festa che sembravano migranti. Quello che mi ha colpito è stata la reazione dello staff di Prada che ha subito sottolineato come le persone cadute in acqua non fossero invitate. Come se, una volta finiti in Canal Grande, facesse differenza se uno ha l'invito o meno».

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Da Pinault è andata meglio.

«Guardi, la festa di Pinault alla Cini sembrava una riunione aziendale. Il bistrot Pinault. Tutti francesi. Gli unici che parlavano italiano erano i camerieri. I fotografi erano disperati. In questi giorni a Venezia, parte Cate Blanchett, i grandi nomi non si sono visti. Per il resto è più facile incontrare per strada quattro zoccolette con il culo di fuori».

 

Entro la fine dell'anno scade il mandato del presidente Baratta, chi potrebbe succedergli?

«Nessuno. Baratta succederà a Baratta. Ormai è il doge, il faraone. Lo faranno presidente della Biennale a vita».

 

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Con la Biennale Venezia mostra il suo volto migliore sotto il quale però ci sono degrado e brutture.

«Venezia brutta? Brutta sarà lei. Venezia è sempre bellissima. Certo, con i suoi problemi. Bisognerebbe contingentare i flussi e alzare i prezzi. Negli altri musei europei, ad esempio, i biglietti sono molto più cari. Perchè non adeguarsi?».

 

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