art show palatino

E' VERO: “I MONUMENTI MUOIONO QUANDO NON PARLANO”. MA ANCHE QUANDO PARLANO CON LA VOCE DI TOMASO MONTANARI RISCHIANO UNA BRUTTA FINE - ALESSANDRA MAMMÌ: “L’ARTE CONTEMPORANEA, SIGNOR MONTANARI, HA DIRITTO ALLA STESSA DIGNITÀ DI QUELLA ANTICA E SE L’UNA NON “DEVE ESSERE SCENOGRAFIA PER IL PRESENTE NARCISISTICO” L’ALTRA NON DEVE ESSERE TRATTATA COME UNA DECORAZIONE”

Alessandra Mammì - http://mammi.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/08/10/antico-e-montanari-non-il-monumento/

 

TOMASO MONTANARI 4TOMASO MONTANARI 4

Allora se ho capito bene il pensiero di Tomaso Montanari nell'articolo su “Repubblica” dell’8 agosto dovremmo considerare il “Napoleon” di Abel Gance  al Colosseo, Carmelo Bene a Massenzio, la nicoliniana estate romana tutta, la stagione a Caracalla, i concerti al Circo Massimo …  tutti insulti al Monumento. Eritemi sulla pelle della Storia che approfittano della  bellezza passata per nascondere la pochezza presente.

 

Mammi Mammi

Se ho capito bene  «quella nostra  contemporanea cultura artistica è così fragile» da  infettare come un virus la classicità tanto che persino le "Sculture in città" del 1962 del buon Giovanni Carandente a Spoleto furono a suo parere un’offesa  alle belle pietre umbre.

 

“Estetica del catenaccio” le definì lo storico dell’arte e del restauro Giovanni Urbani  che ora Montanari cita, impugna e sventola  contro il contemporaneo parassita, dimenticando (o comunque non scrivendo) che quei catenacci erano firmati Henry Moore, Nino Franchina, Hans Arp, Mirko, Lorenzo Viani… e non son tutti.

palatino art show   attia 1palatino art show attia 1

 

Così come ora  le opere che tanto irritano Montanari nella mostra al Palatino “Par tibi, Roma, Nihil” hanno autori che si chiamano Jannis Kounellis, Pascale Marthine Tayou, Chen Zen, Kader Attia, Marinella Senatore… uomini e donne protagonisti della ricerca attuale che ritroviamo nei luoghi deputati  (biennali o musei internazionali) quelli in cui Montanari vorrebbe ghettizzare ogni virus contemporaneo. Chiuderli lì , nelle loro riserve indiane e buttar via la chiave.

 

In tanta indignazione il nostro boccia il progetto ma poi salva Kounellis che, scrive “si adatta bene al paesaggio” (più insulto che complimento) e Buren che “sta tra terra e cielo” (e quindi disturba meno) seguendo la logica del “mi piace/non mi piace” o meglio “si adatta al bene al divano o cosa c’entra in casa mia?” tipica di chiunque di fronte a un oggetto contemporaneo non fa il minimo sforzo per capire cosa ha davanti, per poi approvare o dissentire ma con cognizione di causa almeno.

palatino art show zpalatino art show z

 

L’arte contemporanea, signor Montanari, ha diritto alla stessa dignità di quella antica e se l’una non “deve essere scenografia per il presente narcisistico” l’altra non deve essere trattata come una decorazione.

 

Probabilmente Montanari era troppo piccolo nel 1981 per assistere al “Napoleon” e vedere grappoli di ragazzi/e arrampicati sui muretti di Via di San Gregorio con thermos di caffè per resistere alle 5 ore e 13 minuti di proiezioni.  E molti  fra loro studenti di Giulio Carlo Argan che insegnava ad abbracciare l’incontro fra antico e contemporaneo e non si sarebbe mai sognato di metterli l'un contro l'altro armati.

BARICCO AL PALATINO BARICCO AL PALATINO palatino art show  3palatino art show 3

 

Poi probabilmente Montanari non ha neanche assistito alla messa in scena del Palamede di Alessandro Baricco, nell’ ambito di questa da lui bistrattata mostra prodotta dalla Fondazione Nomas (privata e allora?) e da Roma/Europa. Non ha visto i ragazzi seduti sull’erba dello Stadio Palatino assistere al racconto dell’eroe condannato da Omero a “damnatio memoriae”,  tutti lì tra quelle pietre  destinate normalmente alle birkenstock dei turisti e alle giaculatorie dei tour operator che grazie alle parole di Baricco finalmente recuperavano altra vita e altro senso.

 

E infine quel che Montanari non dice ( o peggio omette) è quella zona del Palatino era inaccessibile al pubblico prima dell’apertura della mostra e lo sarà di nuovo dal 18 settembre alla chiusura.  E se è stato possibile camminare sotto le arcate severiane di uno dei più  potenti palazzi dell’antichità e arrampicarsi fin sulla terrazza tra il suono delle bandiere arcobaleno di Buren mosse dal vento  e un panorama che toglie il fiato, lo dobbiamo proprio all’invasione aliena della nostra cultura visiva. Che “deve” essere un virus, insinuarsi fra chiese e città, nelle metropolitane e tra i palazzi per tener fede al suo compito (come diceva Kandinsky) di essere ” figlia del proprio tempo e madre della nostra sensibilità”.

daniel burendaniel buren

 

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“ I monumenti muoiono quando non parlano più”  scrive Montanari e questa è l’unica frase che ho capito e condivido. Ammutoliti li vediamo ogni giorno,  ridotti a carne per turisti e scenografie per selfie e cartoline. Ma dell' osceno e veramente pestilenziale spettacolo di Grandi Navi a Venezia o gladiatori al Colosseo l’articolo non fa parola.

 

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