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SINNER, CHIEDI E TI SARA'...DAVIS - "IL NAPOLISTA" INFILZA LA "GAZZETTA DELLO SPORT" IN BRODO DI GIUGGIOLE PER JANNIK DOPO CHE IL QUOTIDIANO AVEVA PASSATO SETTIMANE A DARGLI DEL "TRADITORE" PER AVER RIFIUTATO DI PARTECIPARE ALLA COPPA DAVIS- "È UNA RESA CONDIZIONATA, QUELLA DELLA "GAZZA" ABITUATA SOLITAMENTE A MASSACRARE IL TENNISTA AZZURRO PERCHE' RESIDENTE A MONTECARLO" - DOMANI I QUARTI DI FINALE DI "DAVIS" CONTRO L'OLANDA: L'ALTOATESINO HA DATO LA DISPONIBILITÀ A GIOCARE SIA IN SINGOLARE CHE IN DOPPIO…"

1. SINNER IL PECCATORE ORA È «MACCARONE BOY»: DA DOTTO E GAZZETTA MILLE PAROLE SENZA MAI CHIEDERE “SCUSA”

Mario Piccirillo per www.ilnapolista.it

jannik sinner 2

Invece di scrivere tre parole secche – abbiamo esagerato, scusate – Giancarlo Dotto ripete “italiano” 7 volte, “italiani” altre 5. Sostantivo, aggettivo, quasi coniugati in forma verbale. Sparpagliati in un centinaio abbondante di righe parodiate (più o meno consapevolmente) dal registro retorico dell’Istituto Luce. La Gazzetta dello Sport, due mesi dopo la settimana di “Sinner caso Nazionale”, mette in pagina un doloroso redde rationem.

 

jannik sinner 1

Non poteva durare a lungo la latitanza della firma che su Sportweek dedicò anima e penna a fustigare il “Peccatore”, traditore della Patria per aver rinunciato alla convocazione della Coppa Davis. Sinner nel frattempo ha dominato il tennis mondiale, per poco non ha vinto le Finals. Sul carro è salito chiunque. È nazionalpopolare come un Pippo Baudo, una Raffaella Carrà. Lo cercano da Sanremo. Mancava, appunto, solo lui. Bastavano tre parole. Invece no.

jannik sinner foto ray giubilo gmt 20

 

È una resa condizionata, quella della Gazzetta. Gliel’avevano già rinfacciata tutti (persino il democristianissimo Abodi) quella campagna un po’ smodata. Sinner niente: mai una parola, uno spasmo, solo tennis. Il miglior tennis di fine 2023 possibile. E dunque ecco che “la seduzione di Jannik è diventata giorno dopo giorno micidiale nel suo essere nostro, nel suo scoprirsi definitivamente ‘italiano’, senza esserlo davvero completamente, nostro e italiano”.

 

Sgrezzato dell’armamentario di metafore sature (“Sinner il Pupo, Djokovic il Lupo…”), tutto il pezzo è così: una arrampicata asmatica per riprendere il filo di quel discorso. Per riportare a casa un figlio della Patria perduto. L’identità, il Paese, “il nostro”, “l’italiano”. Che “per sbocciare, tutto questo fiore gemmato aveva solo bisogno dell’ecosistema giusto“. Ovvero casa Italia, “un ventre materno. Lui ha galleggiato nella placenta e si è sentito invincibile. Come tutte le creature che, aspettando di venire al mondo, accolgono la carezza suprema”. Lo stridore delle unghie sullo specchio rompe il muro del suono. Mica Sinner era già sbocciato oltreconfine… no no: il numero 4 del mondo per la Gazzetta ha un valore solo se ricondotto alla classifica sciovinista. Serviva Torino per riabbracciare il figliuol prodigo solitamente massacrato perché residente a Montecarlo.

 

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Dotto nota che ora e solo ora Sinner “ha fatto sua una bandiera, non per dovere anagrafico ma per convinzione, senza l’essere completamente un apostolo delle virtù, dei vizi e della storia di quella bandiera. Insomma, noi abbiamo imparato ad amare Jannik anche perché non ci appartiene sino in fondo. Perché non ci somiglia”.  È un pezzo che va letto pensando a Fonzie che non riusciva a dire “ho sbagliato”, non gli uscivano le parole. Dotto ne trova ben 987. “Scusa” non c’è. Però riesce a scrivere cose così:

 

“Se siamo diventati in una settimana milioni di euforici Carota boys, possiamo rovesciare il concetto e dire che lui, nella stessa settimana, è diventato un non meno euforico Maccarone boy. Uno dei nostri“. “Jannik ha scoperto la bellezza torrida di essere nostro e di ritrovarsi italiano. Sentirsi italiani per adozione avvenuta, conclamata e plebiscitaria. Cosa di più bello?”. Ora – attenzione! – è “Noi con Jannik e lui con noi”.

 

E infine lo sfogo, personale: Dotto è la vittima. Dei social cattivi.

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“Il deturpante e spesso orrido dilagare dei social non ha solo moltiplicato il rumore di fondo. Ha portato alla bruta semplificazione dei concetti, là dove non importa articolare un pensiero, quanto materializzare un nemico. Banalizzare l’altro è necessario per insultarlo e insultarlo è indispensabile per darsi una statura, non avendone una. Stimolare una riflessione per cui un ragazzo bello, intelligente, pieno di talento, più apolide che altro nella migliore della ipotesi, possa diventare più forte e persino più bello (e anche più ricco) calandosi nel tessuto emotivo di una collettività, per esempio rispondendo alle convocazioni della Nazionale, anche quando strategicamente inopportuna, non meritava le repliche ottusoidi dei soliti inutili idioti sbavatori alla corte dei vincenti. Ma così va il mondo che non sa dove andare”.

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E questa è la “bella” andata in stampa, possiamo solo immaginare la “brutta”. Cosa non daremmo per poter indagare il disco fisso del suo pc, in questi due mesi di silenzio.

 

Ora c’è la Coppa Davis, Sinner sono due mesi che ribadisce che ci sarà. “Da qui in poi – conclude Dotto – siatene certi, la finalmente e definitivamente ‘nostra’ Volpe Rossa giocherà per la ‘sua’ Nazionale anche con un braccio ingessato. Consapevole di quanti ragazzi e bambini, incidentalmente italiani, stanno impugnando o di questi tempi impugneranno la loro prima racchetta per imitare un italiano vero che gira il mondo e spacca con i suoi rovesci incrociati e la sua bella chioma color rame”. Mancavano giusto i bambini “incidentalmente italiani”. Era quasi meglio Sinner = Peccatore.

 

2. LA NUOVA SFIDA DI SINNER DIVENTARE UOMO DAVIS «HO BUONE SENSAZIONI»

Estratto dell'articolo di Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera”

 

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«Abbiamo accolto Jannik con un bell’applauso ma gli abbiamo anche detto che sarebbe stato l’ultimo che ha ricevuto per le Atp Finals. Da oggi l’obiettivo si sposta su un risultato di squadra». Benvenuti in Coppa Davis, […] Alla vigilia di Italia-Olanda, quarto di finale delle Final 8, capitan Volandri è l’emblema della serietà e c’è da capirlo: maneggia il n.4 del mondo, volato da Torino a Malaga con qualche tossina addosso ma anche con la determinazione di provare a prendersi questa Davis […]

 

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È diventare uomo-Davis, […] la nuova sfida di Jannik Sinner che insegue il modello Djokovic (il n.1 è qui con la Serbia, […]), ma dell’originale non ha — non può avere, a 22 anni — la sapienza per gestire qualsiasi situazione. […] l’effetto-Sinner è già sotto gli occhi di tutti: allenamenti serrati e senza fronzoli, si scherza nei momenti liberi e ci si concentra sul lavoro; la pressione sui compagni, che non vogliono sfigurare né deludere al cospetto del numero uno italiano, è una tensione positiva che attraversa il gruppo.

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Come Djokovic, Jannik ha dato al capitano la disponibilità a giocare sia in singolare (scontato) che in doppio, Griekspoor (n.23) e Van de Zandschulp (n.51) dovrebbero essere pratiche smaltite da Sinner e uno tra Sonego e Arnaldi (Lorenzo è più fresco di tornei, Matteo non gioca da Vienna); […]

 

[…] Il campo non è veloce come a Torino ma la palla vola e Jannik, accompagnato in Spagna soltanto da coach Vagnozzi e vestito d’azzurro per la prima volta dopo il girone di Davis di Bologna dell’anno scorso (a ruota del quarto all’Open Usa perso da Alcaraz sprecando un match point), non si lamenta: «Sono arrivato con un po’ di stanchezza ma buone sensazioni, il passato non conta, le Atp Finals sono alle spalle. La nostra forza è essere una squadra unita, con un unico obiettivo in testa. Insieme ci divertiamo, c’è la responsabilità di giocare per tutta l’Italia».

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È il tennista azzurro con più partite Atp vinte in un’unica stagione (61), il primo a chiudere nei top 5 il ranking di fine anno (Panatta era salito al n.4 il 24 agosto 1976). Il ruolo gli chiede questo sforzo supplementare in una competizione snaturata delle sue caratteristiche di base (il tre su cinque, i match in casa/trasferta), condensata in sede unica (ancora Malaga, nel 2024 chissà, magari in Italia?), orfana della Spagna padrona di casa. «Tifosi, venite a darci una mano» è l’appello di Jannik, che non vorrebbe vedere gli spalti vuoti. […]

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