LA CUPOLA DEL CALCIO SPORCO – PER BATTERE LA CONCORRENZA DEL MAROCCO DAL SUDAFRICA PARTIRONO MAZZETTE PER 10 MILIONI $ E I MONDIALI FINIRONO A JOHANNESBURG – STECCHE MILIONARIE AI PAPAVERI FIFA ANCHE PER IL CAMBIO DELLO SPONSOR SULLE MAGLIETTE DEL BRASILE
Marco Mensurati e Fabio Tonacci per “la Repubblica”
Il pallone rotola su un campo di mazzette. E si ferma sotto al piede di chi offre di più. Che si tratti di diritti televisivi per le competizioni sudamericane, di biglietti per lo stadio, dell’elezione del presidente della Fifa, dello sponsor sulla maglia del Brasile, sempre lì si arriva. Alla bustarella. Questo raccontano le 280 pagine dell’ indictment act, l’atto di accusa contro la gestione del calcio mondiale degli ultimi vent’anni, firmato dal procuratore generale Loretta Lynch e dal district attorney di New York Kelly Currie.
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Le autorità svizzere, che stanno conducendo un’inchiesta parallela a quella dell’Fbi sull’assegnazione dei campionati del mondo 2018 e 2022 a Russia e Qatar, interrogheranno presto Sepp Blatter, il presidente Fifa cui è stato ordinato di non lasciare la Svizzera. C’è molto da chiarire e da spiegare. A cominciare dal vero motivo per cui i mondiali del 2010 si sono giocati in Sudafrica.
Nel 2004 la Fifa ha sul tavolo le candidature di Marocco, Sudafrica e Egitto per l’edizione 2010 della Coppa del mondo. Due componenti del comitato esecutivo fanno un viaggio in Marocco: sono Charles Blazer (segretario generale della Concacaf, Confederazione americana e caraibica di calcio) e Jack Warner, vicepresidente della Fifa. «Il comitato organizzatore del Marocco offre loro un milione di dollari per pilotare il voto segreto», scrive l’Fbi.
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C’è un miglior offerente, però. Il governo sudafricano e il comitato organizzatore sono pronti a pagare 10 milioni di dollari alla confederazione da loro controllata, con questa curiosa giustificazione: «Sostegno alla diaspora africana». Blazer capisce, la diaspora ovviamente non c’entra niente. È la grande torta — di cui a lui spetterà la fetta da un milione — per votare, insieme a Warner e un terzo soggetto del comitato, a favore del Sudafrica.
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E così accade: il 15 maggio 2004 a Zurigo dalle urne Fifa vengono fuori 14 voti per il Sudafrica, contro i 10 del Marocco (nessuno votò per l’Egitto, terzo candidato). I dieci milioni «per la diaspora» arrivarono nei mesi successivi, prelevati dal fondo che la Fifa aveva predisposto per l’organizzazione di quei mondiali. Tre bonifici finiscono sul conto del famelico Blazer: uno da 298.000 dollari, il secondo da 205.000, il terzo da 250.000. Soldi che gli serviranno poi a pagare l’affitto nella Trump Tower di New York dell’appartamento occupato dai suoi gatti.
L’orizzonte dell’inchiesta al momento è ignoto. Quell’»è solo l’inizio » pronunciato dagli investigatori autorizza i pensieri più funesti. Uno dei temi più promettenti — appena sfiorato nelle carte sin qui conosciute — è quello del super bagarinaggio, di cui l’Fbi accusa esplicitamente Blazer. «Ha usato la propria posizione» dentro la Fifa «per fare soldi nei più svariati modi» compreso quello di rivendere «a prezzi maggiorati» i biglietti per i mondiali.
La delicatezza del tema diventa lampante se si considera che l’inchiesta ha accolto le risultanze di una indagine parallela condotta dalla procura di Rio de Janeiro, al centro della quale c’è un nome pesantissimo: quello di Philippe Blatter, nipote di Sepp. Blatter Junior è il presidente della multinazionale svizzera dello sport marketing Infront. Infront controlla la Match Services, società che gestisce tra l’altro l’hospitality vip per conto della Fifa.
Durante i mondiali brasiliani del 2014, il direttore della Match Services venne arrestato con l’accusa di essere parte di una banda che rivendeva i big lietti della Fifa a prezzi maggiorati e che solo in quell’evento aveva avuto un giro d’affari di 90 milioni di dollari. A imbarazzare ulteriormente i due Blatter alcune telefonate intercettate tra un esponente della banda, Mohamadu Lamine Fofana e un funzionario Fifa. Durante la chiamata — dal Brasile direttamente al numero interno negli uffici di Zurigo — Fofana chiedeva 700 biglietti.
Ma soldi e tangenti giravano dentro il ventre della Fifa, anche attraverso canali, per così dire, più tradizionali, come quello sempre ricco dei diritti tv, che rischia di essere il vero epicentro di questo scandalo: buona parte dei 25 coconspirator ( gli indagati coperti da “omissis”) operavano o avevano interessi proprio in questo settore.
UNO DEI DIRIGENTI FIFA ACCOMPAGNATO FUORI DA UN HOTEL PROTETTO DA UN LENZUOLO
È significativa la storia dell’acquisizione da parte di Traffic — una delle multinazionali dello “sport marketing” sotto indagine — dei diritti per la trasmissione delle partite di qualificazione ai mondiali sudafricani delle squadre della Federazione caraibica. Traffic Usa, per aggiudicarsi quella gara, versò una tangente da 3 milioni di dollari a Jeffrey Webb, allora neo presidente della Concacaf. Di quella tangente se ne fece carico per metà una società europea (coperta dal massimo riserbo, sotto la dicitura anonima Sports Marketing Company C) con cui la Traffic Usa aveva appena avviato una partnership.
Gli atti dell’Fbi raccontano poi in maniera analitica la “tangente esemplare” versata nel 1996 in occasione del cambio di sponsor della nazionale brasiliana. «L’azienda americana di abbigliamento sportivo A” — scrive l’Fbi lasciando anonimo il brand — contattò un rappresentante della federazione brasiliana chiedendo se fosse interessata a cambiare sponsor tecnico». A quel punto entra in campo un alto dirigente della federazione (uno dei papaveri Fifa arrestati ieri) che, insieme con un rappresentante della Traffic Brasil, avvia le trattative.
Al termine delle quali si raggiunge un accordo su base decennale dal valore di 160 milioni di dollari. Subito dopo su un conto corrente svizzero la Traffic riceve un bonifico dalla “Compagnia A” di 40 milioni di dollari. Secondo quanto risulta agli investigatori, inoltre, il rappresentante della Traffic «successivamente retrocedette parte degli introiti incassati» al papavero federale, «sotto forma di tangente».
Mazzette ovunque. Anche per eleggere il presidente della Fifa. Nel 2011 Bin Hamman, allora a capo della Federazione asiatica, puntava a togliere la poltrona a Blatter, comprandosi i voti dei caraibici, con la complicità del solito Jack Warner. Organizzarono un congresso della Cfu, la Caribbean Football Union, allo Hyatt Regency Hotel di Trinidad e Tobago.
«Durante il pomeriggio del 10 maggio i partecipanti furono invitati a entrare in una stanza, uno dopo l’altro. Dentro, lo staff della Cfu consegnava loro una busta con 40.000 dollari ciascuno». E Jack Warner in quel momento non era uno qualunque, era il vicepresidente della Fifa. Lo stesso ruolo ricoperto oggi da Eugenio Figueredo, uno degli arrestati della retata di due giorni fa a Zurigo. È uruguayano e vive dal 1997 in California. Quando chiese la green card per la cittadinanza, nel 2004, dichiarò all’ufficio immigrazione statunitense di essere esente dall’obbligo di conoscere la lingua inglese perché malato. E produsse un documento medico falso. C’era scritto che era affetto da “ severe dementia