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IL BRASILIANO JOAO PEDRO IN NAZIONALE? ZAZZARONI ACCENDE LA POLEMICA CONTRO GLI "ORIUNDI": “CONTINUANDO A RIEMPIRE I BUCHI CON DELLE TOPPE NON SI CRESCE. E IL PROGETTO GIOVANI? LE RIFORME? L’INVESTIMENTO SUI VIVAI E LE RELATIVE, INUTILI CAMPAGNE POLITICO-GIORNALISTICHE UN TANTO AL CHILO? ARRUOLA UN ORIUNDO E PASSA LA PAURA..."

Ivan Zazzaroni per corrieredellosport.it

 

JOAO PEDRO 29

Una partita dalle tante vite, Inter-Napoli. Troppe, forse. Venti minuti, quelli iniziali, di solo Napoli, in vantaggio con Zielinski; poi un’ora piena di Inter - l’avversario stordito dal rigore - e il risultato è sembrato a tutti definitivo, soprattutto dopo l’uscita per infortunio di Osimhen.

 

A sorpresa, perché di autentica sorpresa si può parlare, considerate le premesse, l’ingresso di Mertens per Insigne ha rilanciato - dando un senso compiuto al tentativo di rimonta - la squadra di Spalletti che nel finale è andata vicinissima al pari tanto con Mario Rui (Handanovic abbagliante) quanto con lo stesso Mertens.

 

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E insomma non si è capito chi delle due fosse (e sia) realmente la più forte: l’Inter ha avuto momenti di invidiabile intensità (Darmian, Perisic e Barella i più in palla) mentre il Napoli, prima dell’arrembante finale, si è mostrato a lungo frenato dall’imprecisione di battuta di Ruiz, dalle tinte acide di Insigne e dagli imprevisti cali di tensione di Anguissa. Due novità su tre. Inzaghi esce così rafforzato dalla sfida che avrebbe potuto vederlo allontanarsi dalla corsa scudetto. Spalletti è sempre davanti, ma ha l’obbligo di soffermarsi sullo spiazzamento registrato tra l’1-1 e l’1-3, per evitare che si ripeta. Inoltre, se vuole continuare a pensarsi da primato, non può permettersi un Insigne dimezzato come quello visto ieri e nelle ultime due uscite della Nazionale: gli effetti sembrano diretti.

 

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Napoli e Milan a 32, l’Inter a quattro punti, l’Atalanta a sette: il campionato delle imperfette conosciute resta piacevole e di livello più che accettabile, e conferma di non avere un destino chiaro: non essendosi manifestate superiorità tecniche evidenti - solo qualche “dipendenza” - la differenza la stabilirà la capacità di gestione delle micro-crisi, la faranno nervi e maturità.

 

 

João Pedro, Ibañez e Luiz Felipe dopo Emerson, Toloi e Jorginho, senza scendere giù giù fino a Paletta, Eder, Schelotto, Ledesma e Franco Vàzquez: chi adesso potrebbe essere reclutato, chi si autocandida, chi toccò l’azzurro e chi è già parte integrante del gruppo della Nazionale campione d’Europa ma a forte rischio di esclusione da Qatar ‘22. Il tema non è nuovo, lo rende attuale - appunto - il timore del Paese di dover rinunciare per la seconda volta consecutiva alla rassegna mondiale, creando un vuoto non di otto ma di dodici anni, dal 2014 al 2026.

 

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Premesso che João e omologhi, se in possesso delle credenziali necessarie, hanno il diritto di ottenere la doppia cittadinanza e di concorrere a una maglia azzurra, ripeto che sono da sempre contrario alle “oriundizzazioni”, pratica chiaramente opportunistica, per ragioni da ricondurre al progressivo e, a questo punto, volontario impoverimento della nostra scuola calcistica.

 

Per pura curiosità, sono andato a rileggere la formazione che nel gennaio del ’58, sempre a Belfast, perse con l’Irlanda del Nord e non si qualificò al Mondiale di Svezia. Il ct Foni schierò Bugatti, Vincenzi, Corradi, Invernizzi, Ferrario, Segato, Ghiggia, Schiaffino, Pivatelli, Montuori e Da Costa. Ghiggia e Schiaffino erano uruguaiani, Montuori argentino e Da Costa brasiliano. Curiosamente, molti anni più tardi il difensore Guido Vincenzi ammise che «iI concetto di patria era già superato anche per noi, i tempi stavano cambiando. Però Ghiggia e compagni non potevano vedere nella nazionale italiana la loro, di patria».

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La nazionale dovrebbe per definizione rappresentare e portare sul campo i valori non solo tecnici, le qualità e anche i limiti della scuola di riferimento: continuando a riempire i buchi con delle toppe non si risolve, né si cresce. Molto più onesta sarebbe la semplificazione delle naturalizzazioni e la conseguente trasformazione delle nazionali da espressione di una scuola a espressione di un campionato. Il progetto giovani? Le riforme? L’investimento sui vivai e le relative, inutili campagne politico-giornalistiche un tanto al chilo? Arruola un oriundo e passa la paura.

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