gino de dominicis

L' ARTE ESTREMA DI GINO DE DOMINICIS IN BILICO TRA LIBERTÀ E PROVOCAZIONE - DA OGGI A PALERMO, A PALAZZO BELMONTE RISO, LA MOSTRA, CURATA DA SGARBI, SUL PITTORE E SCULTORE SCOMPARSO 20 ANNI FA - "PENSO CHE LE COSE NON ESISTANO. UN BICCHIERE, UN UOMO, UNA GALLINA NON SONO VERAMENTE UN BICCHIERE, UN UOMO, UNA GALLINA…"

gino de dominicis

Stefano Bucci per il Corriere della Sera

 

Gino De Dominicis (Ancona, 1947 - Roma, 1998) è apparso sempre come un grande provocatore dell' arte contemporanea. Almeno in superficie. Capace di scrivere, per esempio, nella sua sorprendente Lettera sull' immortalità del corpo del 1969: «Penso che le cose non esistano. Un bicchiere, un uomo, una gallina non sono veramente un bicchiere, un uomo, una gallina, sono soltanto la verifica sulla possibilità di esistenza di un bicchiere, di un uomo, di una gallina. Perché le cose possano esistere bisognerebbe che fossero eterne, immortali».

 

Quella di De Dominicis resta però una provocazione assai difficile da inquadrare, volutamente in bilico (con le sue installazioni, le sue performance, la sua pittura, la sua grafica) tra Arte povera, Transavanguardia, Arte concet-tuale. Una provocazione che spesso cominciava già dal titolo (Mozzarella in carrozza, 1968; Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell' acqua, 1971). E che si traduceva in gesti estremi: la sola immagine autenticata da De Dominicis, «che non riconosceva alla fotografia alcun valore documentario», è la foto ricordo della Seconda Risoluzione d' Immortalità / L' Universo è immobile, la sua discussa installazione alla Biennale di Venezia del 1972.

 

gino de dominicis

La mostra GDD - Genio della dimensione, curata da Vittorio Sgarbi, che si apre oggi al pubblico a Palermo, a Palazzo Belmonte Riso (fino al 26 agosto), si propone, invece, di restituire, nel ventennale della sua scomparsa, «l' unicità, la grandiosità e la dimensione internazionale» di un personaggio ancora estremamente attuale che non ha mai avuto timore di superare i limiti delle mode «perché viveva la sua stessa arte e le sue opere come parte fondamentale della propria vita».

 

Un' antologica, questa del Riso (il Polo museale regionale d' arte moderna e contemporanea di Palermo, diretto da Valeria Patrizia Li Vigni) che si inserisce negli appuntamenti di Palermo Capitale italiana della Cultura 2018, proprio mentre dal 16 giugno al 4 novembre si tiene (sempre nel capoluogo siciliano) anche Manifesta, biennale nomade europea.

GINO DE DOMINICIS IL GUERRIERO

 

Saranno 60 le opere di De Dominicis esposte al Riso. Come Il Guerriero, affascinante sagoma in foglia d' oro, proveniente da una collezione privata siciliana ed esposta per la prima volta al pubblico, o come Arianna, tempera su carta intelata, giocata sui toni dell' azzurro-blu: opere pittoriche e grafiche realizzate soprattutto tra gli Anni 80 e 90, quando l' artista sarebbe tornato alla pittura, una pittura «dominata da visi ermetici dal volto allungato», pur rimanendo legata a quei temi mitologici e dell' immortalità molto cari a De Dominicis.

 

Come accade spesso ai grandi provocatori, più o meno presunti, dell' arte, anche l' esposizione realizzata da Sgarbi (con la collaborazione di Savina Cusimano) finisce per restituire la giusta dimensione a Gino De Dominicis, che «già dalla sua prima importante personale del 1969, alla galleria romana dell' Attico, aveva scelto di porsi in modo non convenzionale nei confronti dei limiti fisici e della realtà umana» (Poltrona per un viaggio nello spazio, Due verifiche di invisibilità, entrambe del 1969, il suo stesso Necrologio che ora figura come invito alla mostra palermitana). Spesso finendo per oltrepassare gli stessi confini del corpo per dare vita (nei suoi lavori) a serie di alter ego fantastici, dall' eroe sumero Gilgamesh alle figure aliene smaterializzate d' oro.

 

sgarbi

Ma a restare addosso è la perenne voglia di libertà di Gino De Dominicis, qualcosa che andava contro la miopia dei suoi critici. Una voglia di libertà che lo avrebbe confermato nella sua scelta, filosofica e non solo estetica, di non voler lasciare traccia dei suoi lavori e di non voler partecipare a mostre istituzionali.

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