SCIOCCHEZZAIO MONDIALE – LUKAKU CONFESSIONS: “IN CASA SCHIVAVO I TOPI. MAI SCHERZARE CON CHI E’ SPINTO DALLA FAME” - VALDERRAMA STRACULT: "DECISI DI TINGERMI I CAPELLI A 18 ANNI E NON HO PIÙ SMESSO. PIACCIONO A TUTTI TRANNE A… - POI PARLA DI HIGUITA E DELL’OMICIDIO DI ANDRES ESCOBAR - IL ‘VIZIETTO’ DI KALINIC, MAX GIUSTI-MARADONA E L’IRONIA SU “GIGGINHO” CONCEPITO CON UNA BIBBITARA DEL SAN PAOLO - VIDEO
Antonio Dipollina per la Repubblica
- Balalaika, Canale 5. Sbuca Max Giusti con un suo classico, l' imitazione di Maradona. E racconta di come tra i molti figli presunti che gli addebitano nel suo periodo napoletano lui si vanta soprattutto di " Gigginho", concepito con una bibbitara dello stadio in spogliatoio, nell' intervallo di una partita.
- Al canale 34 di SportMediaset alla sera la Gialappa' s commenta le partite a suo modo: rispetto a una volta ormai è uno show e l' attrazione principale è il duo Ciccio Graziani- Fabio Collovati ospiti delle prime puntate e sempre indimenticabili. Si punta netto ai molti che delle partite se ne stropicciano abbastanza e vogliono altro, chi vuole seguire il gioco giri al largo: per gli affezionati di sempre invece è ok.
- Inviata in Russia per Mediaset, la tostissima Francesca Benvenuti si rivolge a ospiti di qualunque nazionalità parlando, rispondendo, traducendo in qualunque idioma. Forse con quelli dell' Arabia Saudita no, ma non ne saremmo sicuri.
- In tema: gli spagnoli di Marca hanno sul loro sito una sezione che si chiama El Pronunciador. Ci sono tutti i giocatori di tutte le squadre, su ognuno si può cliccare sopra e una voce legge l' esatta pronuncia di nome e cognome.
- In un supermercato ticinese da ieri c' è in sconto la confezione di " Entrecote brasiliana". A metà prezzo e con la scritta " Ci abbiamo preso gusto a ridimensionare il Brasile". E a quel punto, in impeto di umorismo svizzero davvero impensabile c' è lo slogan: " Non li abbiamo superati ma sicuramente li abbiamo Zuberati". Da Zuber, autore del gol. Con l' aiuto dei puntini di sospensione la battuta prima o poi arriva e in zona probabilmente non si rideva così da anni.
- Tra i vari motivi per cui non si capisce perché dovremmo essere al Mondiale. Gamalero, in provincia di Alessandria. C' è un' ordinanza del sindaco che vieta il gioco del pallone su tutto il territorio comunale. Però c' è un campo di calcetto. Un gruppo di ragazzini alla fine non resiste, entra e ci dà dentro. Arrivano i Carabinieri (!)con il pennacchio e con le armi: tutti a casa e 50 euro di multa a ogni famiglia.
- Sezione spot: quello con Ibrahimovic che paga con la carta di credito il conto ai due pischelli al pub è credibile come il reddito di cittadinanza ma è ben fatto: e non si ricorda uno Zlatan che ci tenga così tanto a risultare simpatico.
- "Da ieri mi sono fidanzato. Lei è una donna senza fissa dimora. Non è granché ma almeno non devo accompagnarla a casa tutte le sere" ( Mago Forest, Balalaika, Canale 5)
2. VALDERRAMA
Andrea Sorrentino per la Repubblica
Alle partite del Mondiale ci sono un sacco di "Fifa legends", ex giocatori o allenatori, stanno in tribuna in giacca e cravatta. Poi c' è Carlos Alberto Valderrama, "el Pibe".
Gira in jeans e con la maglia della Colombia numero 10, la zazzera bionda di sempre, collanine colorate al collo e una miriade di braccialetti ai polsi, a volte è in tribuna stampa come giornalista (per le emissioni in spagnolo di RT), tutti sono felici quando lo incontrano, lui non si nega mai a una chiacchiera o a una foto.
Pibe, cosa fa adesso?
«Vivo sempre per il calcio, a modo mio. Alleno una squadra di under 17, così sto tranquillo, niente pressioni. Gioco partite di calcio amatoriale, ma con serietà massima: se voglio fare un tunnel, lo faccio. Se invece il tunnel lo fanno a me, mollo una "patada", un bel calcione. E se mi fanno giocare dall' inizio, sono felice, ma dopo non voglio uscire, grazie. Poi guardo sempre calcio in tv, e vado in giro, mi piace viaggiare. Ma tutto coi miei tempi. Ho sempre fatto le cose con calma, compreso l' esordio in nazionale: a 24 anni».
Oggi la Colombia inizia il suo Mondiale, sensazioni?
«Siamo forti. James, Falcao, Cuadrado, Ospina, giocatori eccellenti, e hanno già l' esperienza di 4 anni fa, quando perdemmo dal Brasile nei quarti.E Pekerman è un grande allenatore. Ha preso nello staff Cambiasso e da noi c' è stata polemica, perché è un altro argentino. Ma io dico che se uno è bravo, e quei due lo sono di sicuro, può aiutare la Colombia».
Poi c' è il colombiano Osorio, che allena il Messico e ha già battuto la Germania.
«In Europa lo conoscete poco ma vi assicuro che è un numero 1. Punta tutto sul lavoro, sulla disciplina, ha mentalità vincente. Porterà il Messico ben oltre gli ottavi».
Lei continua a essere un mito per chiunque, per le sue imprese calcistiche e per la sua celebre capigliatura.
«Confesso, è un grande piacere.Con quella Colombia negli anni Novanta siamo stati in tre Mondiali, abbiamo dato lustro al nostro paese. È una soddisfazione che dura tutta la vita, ricordi meravigliosi. Nella mia città, Santa Marta, c' è la mia statua di quasi 7 metri davanti allo stadio, mi sa che è la più grande del mondo per uno sportivo, o quasi. A Capodanno la gente ci va in processione.Quanto ai miei capelli, decisi di tingermeli a 18 anni e non ho più smesso. Piacciono a tutti tranne a mia madre, che mi faceva sempre vedere una foto di quando avevo 17 anni e mi diceva: "Guarda com' eri bello qua, e come sei brutto adesso"».
La sua Colombia era tutta gioco corto e tecnica.
«Con Maturana arrivammo al massimo, lui era uno stratega magnifico. Esaltò le nostre qualità, ma in settimana si lavorava di brutto sulla tattica e pure sulla preparazione atletica, non credete. Anche io dovevo, sennò non giocavo. Poi arrivava la partita e lui non aveva nulla da dire, scriveva solo sulla lavagna i nomi degli 11, tanto in settimana aveva già detto e fatto tutto.
Al Mondiale di Italia '90 ci tradì quell' errore di Higuita, che sbagliò il dribbling su Milla col Camerun, ma non gliene ho mai voluto: lui era lo stesso se giocava in spiaggia o a Wembley, era fatto così, era il suo bello. Nel 1994 avevamo la squadra più forte di sempre, ma perdemmo la prima con la Romania, che ci fregò in contropiede, poi con gli Usa l' autogol di Escobar, e addio. Poi lo uccisero, povero Andrès, ma quelli erano anni brutti, in Colombia si viveva nella paura».
Ora il calcio è cambiato parecchio, si direbbe.
«Completamente. La mia Colombia, e il calcio di quegli anni, era ancora pura tecnica. Adesso è proprio un' altra cosa, corrono tutti come matti. Ma dove vanno? Mi piacciono quelli che mettono ancora la tecnica al primo posto: il Brasile, l' Argentina, la Germania, le mie favorite. La Spagna non so, cambiare un allenatore in quel modo può essere pericoloso».
Messi, Cristiano Ronaldo e Neymar?
«Sempre Messi: sa fare tutto in campo, proprio tutto».
Ma con i vari Higuita e Asprilla vi vedete ancora?
«Ma certo. Quasi ogni sabato giochiamo ancora insieme, "los viejos". Spesso contro i giornalisti colombiani della nostra età, quindi viejos pure loro»...
3. L' ANNO NERO DI KALINIC: RISPEDITO A CASA
Andrea Bonso per il Giornale
Ufficiale: peggio di così la stagione di Kalinic non poteva andare. Dopo il pessimo campionato con il Milan, per l' attaccante è arrivata anche una batosta di dimensioni mondiali: la Croazia ha deciso clamorosamente di rispedirlo a casa dal ritiro di San Pietroburgo.
Il motivo? Il milanista si sarebbe rifiutato di entrare in campo a 5 minuti dalla fine del match di sabato contro la Nigeria, adducendo come scusa il mal di schiena. Kalinic, quindi, si sarebbe inventato di nuovo un dolore per non entrare. Di nuovo perché a quanto pare il croato è recidivo. Durante l' amichevole con il Brasile, l' ultima giocata prima di partire alla volta della Russia, l' attaccante del Milan si era reso infatti protagonista di una sceneggiata simile, rifiutandosi di subentrare a causa di un presunto fastidio fisico. In quel caso, il ct Dalic gliel' aveva fatta passare, ma era chiaro che tra i due già non corresse buon sangue.
Il ct non lo considera titolare (prima di lui Mandzukic e l' ex viola Rebic) e Nikola soffre tremendamente questa situazione, anche perché considerava la campagna di Russia l' occasione per riscattare un anno horribilis. Il Mondiale, però, invece di portare aria di rilancio, si è trasformato in bufera. Dalic, infatti, non vuole in squadra giocatori che possano influenzare negativamente lo spogliatoio e, per questo, ha deciso di dare il ben servito al rossonero, anche se ciò significa rimanere con un uomo in meno. «Ho accettato in silenzio e preso questa decisione, perché mi servono giocatori sani che possano aiutare la squadra e i compagni», ha detto il ct.
Questo lato di Kalinic, però, lo conosciamo pure in Italia. Anche da noi, infatti, Nikola ha dato prova più volte del suo carattere ribelle. L' estate scorsa, quando voleva lasciare a tutti i costi la Fiorentina, il giocatore presentò un certificato medico per evitare di allenarsi con il resto dei compagni perché "emotivamente inquieto". A marzo, invece, mandò su tutte le furie Gattuso per il suo scarso impegno in allenamento tanto che Ringhio non lo convocò con il Chievo.
Ciò che è successo con la Croazia, quindi, è il perfetto epilogo di una stagione da dimenticare per Kalinic.
Arrivato al Milan con grandi aspettative, si è ritrovato a fare panchina dietro un 20enne (Cutrone), concludendo il campionato con appena 6 gol. Il rapporto con i tifosi milanisti inoltre non è mai sbocciato e, anzi, dopo il clamoroso autogol in finale di coppa Italia contro la Juve, è definitivamente naufragato. Sembra quindi sempre più difficile vedere Kalinic in rossonero anche il prossimo anno. Su di lui ci sono Siviglia e tre squadre turche (Galatasaray, Besiktas, Fenerbahce): per meno di 20 milioni può partire.
4. LUKAKU
Adriano Seu per gazzetta.it
Da Anversa, nei sobborghi poveri e scalcinati, fino ai riflettori mondiali di Sochi, dove ha incantato il mondo e il suo Belgio con la strepitosa doppietta che ha liquidato Panama. Ecco a voi Romelu Lukaku, il ragazzo riuscito a sfondare grazie a un'incrollabile forza di volontà dopo una tremenda infanzia di stenti. A raccontarlo, senza tralasciare il minimo dettaglio, è stato proprio lui, confessatosi in un lungo articolo autobiografico sulle colonne di Players Tribune.
La storia del piccolo Lukaku inizia ad Anversa, in un'abitazione priva di tutto. "Ricordo il momento esatto in cui mi resi conto che eravamo in miseria, non semplicemente poveri. Avevo sei anni e, tornando a casa da scuola per la pausa pranzo, vidi mia madre piangere. Quel giorno - ricorda Lukaku - il menù era lo stesso del giorno prima e di tutti quelli precedenti. Pane e latte allungato con l'acqua era tutto ciò che ci potevamo permettere. La foto di mia madre appiccicata al frigorifero mi ricorda ogni giorno le sofferenze che abbiamo dovuto attraversare…
Mio padre era stato giocatore professionista, ma ormai aveva smesso di giocare ed eravamo rimasti senza soldi. La prima cosa che scomparve - ha proseguito Lukaku - fu la Tv: niente più calcio. Poi la corrente elettrica: niente più luce, spesso per settimane. Quindi l'acqua corrente, via anche quella, e io che mi facevo la doccia in piedi dentro alle pentole, lavandomi i capelli con acqua raccolta in piccole scodelle. Dissi a mia madre che tutto sarebbe cambiato e chiesi a mio padre quando avrei potuto giocare da professionista. 'A 16 anni', mi rispose. Bene, dissi, da quel giorno cambierà tutto. E così fu".
Quella promessa solenne divenne improvvisamente il motore del piccolo Romelu, che vedeva crescere a dismisura la voglia di riscatto al pari di un fisico possente e statuario. "Da quel giorno, ogni volta che giocavo, fosse anche al parco con gli amici, era come una finale. Quando avevo 11 anni - ha raccontato - iniziai a giocare con il Liegi e ricordo i genitori degli avversari lamentarsi perché secondo loro non potevo avere quell'età. Dubitavano che fossi nato in Belgio, ma io rispondevo sempre che ero belga, di Anversa. Tutto ciò mi dava sempre più forza e mi spingeva a dare il massimo. L'unica cosa che volevo era rispedire gli avversari a casa in lacrime. Da allora, il mio obiettivo è stato solo uno: fare la storia del calcio belga. Non volevo essere tra i più forti, puntavo ad essere semplicemente il migliore, il più forte e il più grande di tutti. Perché ricordavo quando schivavo i ratti in giro per casa, perché non ho mai potuto guardare la Champions in Tv e perché ricordo come mi guardavano i genitori degli altri ragazzini. Per me era un missione" (…)
"La lezione è una sola - ha concluso Lukaku -, non bisogna mai scherzare con chi ha lottato tra miseria e povertà sconfiggendo la fame"