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TORNA A CASA, TEVEZ - DA MARADONA AGLI AMICI DEL BARRIO: IL MONDO BOCA ASPETTA (DA MESI) IL RITORNO DELL’APACHE - LE PRESSIONI DELLA STAMPA ARGENTINA E LE POLEMICHE MONTATE CONTRO ALLEGRI

Massimo Calandri per “la Repubblica”

 

MARADONA TEVEZ TIFOSI BOCAMARADONA TEVEZ TIFOSI BOCA

La maestra, i bambini seduti ai banchi, una lavagna con parole in inglese. Nell’aula vicina si gioca a scacchi, non disturbate. Quella dopo ancora ospita i corsi di alfabetizzazione per gli anziani del quartiere. E poi cucito, fotografia, teatro, chitarra, italiano, tango: tutto gratuito, un migliaio di iscritti. La biblioteca? Cinquemila titoli. E gli uffici del club: una sala è stipata di scatoloni di riviste di tutto il mondo, c’è pure una collezione del Guerin Sportivo.

 

Il Dipartimento Culturale del Boca Juniors è un silenzioso bunker dei sogni nel cuore della Bombonera. Proprio sotto il settore B, quello dell’infernale 12, la Doce, il dodicesimo uomo, la gradinata agli ordini del famigerato Rafa di Zeo, tifo e crimine organizzato. Un contrasto assurdo. Niente scuola nel fine-settimana.

 

MARADONA TEVEZMARADONA TEVEZ

«Durante le partite trema il soffitto che sembra venire giù», ride la maestra, Fabiana Abalde. Ci ha studiato anche Carlitos Tevez, ragazzino. Alunno timido, educato. Un po’ distratto. Gli piaceva disegnare. «Finalmente il nostro ragazzo torna a casa», dice la maestra. Il nostro ragazzo. Perché c’è una storia speciale che lega l’Apache a questa squadra, questa gente. Una storia che sta appassionando tutta Buenos Aires e l’Argentina intera, avida di novelas con qualche lacrima e un lieto fine. Come quella del “figlio del popolo” e di un destino che – dicono – era già scritto.

 

I tifosi giurano che Tevez sieda alla destra di Maradona, nel loro cuore. Più talento di Martin Palermo, più passione di Juan Roman Riquelme, idoli minori. Classe e huevos (che più o meno vuol dire carattere): il Dna degli xeneizes, e basta. Omar Larrosa, centrocampista che nel 1978 alzò la Coppa del Mondo prima ancora del capitano Passarella, sintetizza in maniera esemplare: «È nato e cresciuto qui. È tempo che torni alla sua famiglia, che il cerchio si chiuda».

 

BOCA JUNIORSBOCA JUNIORS

Una storia cominciata quando ancora Carlito si chiamava Martinez e giocava negli All Boys: ce lo aveva portato el Tano Norberto Propato, dopo averlo visto calciare a piedi nudi – era l’estate del 1989 - tra le pietre del cortile del Nudo (torre) 1 di Fuerte Apache. Per evitare ricatti dal piccolo club, l’allora presidente del Boca Juniors – Macrì, oggi governatore di Buenos Aires – suggerì di tesserare il ragazzino col cognome dello zio.

 

BOCA JUNIORS LA DOCEBOCA JUNIORS LA DOCE

Segudo Tevez, marito di Adriana Martinez, lo aveva avuto in affido dal giorno in cui il bimbo, pochi mesi di vita – era solo in casa con mamma Fabiana, sorella di Adriana: nessuno ha mai saputo come siano andate davvero le cose – si ustionò al collo con una pentola d’acqua bollente.

 

«Carlitos vuole tornare perché qui vivono i suoi amici. Gente con cui è cresciuto, poverissimo ma felice. Gli mancano, ha bisogno di stare con loro. Ed è pronto a rinunciare a milioni di euro, ne ha guadagnati abbastanza ». Forte Apache è uno dei quartieri più difficili. Ma guai, a chi provava a toccare il piccolo.

 

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Il gruppo lo ha sempre protetto, e quando ha cominciato a guadagnare qualcosa è stato il suo turno, di tirarli fuori dai guai con la polizia e dai vizi. Tutti tranne Dario Coronel, el guacho Cabanas, che al pallone dicono fosse più bravo di lui però è stato ucciso dal proiettile di un agente a 17 anni, e Tevez dopo ogni gol segnato giarda al cielo e glielo dedica. Reti, morte, soldi, leggende. Ingredienti che alimentano l’emozione, questa strana ansia come di giustizia che nel suo paese grida al ritorno dell’Apache.

 

La finale di Champions col Barcellona è andata in diretta sulla Espn dell’America latina, i due commentatori – entrambi argentini – non facevano altro che sottolineare una fantomatica incomunicabilità fra “Carletto” (lo chiamavano così) e i compagni bianconeri: «Cosa starà pensando Tevez in questo momento? Come fa a sopportare tutto questo?», esasperando qualsiasi pausa dell’attaccante.

 

Per non dire delle polemiche montate il mese scorso dopo la sostituzione nella semifinale col Real, quelle parole ringhiate ad Allegri e lette sulle labbra dell’Apache: «Cagòn, puto!», aveva tradotto il quotidiano Olé in prima pagina. È da mesi che i giornalisti argentini all’uscita dello spogliatoio lo provocano: «Vieni o non vieni al Boca?». Dieci, cento, mille volte.

 

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Tevez ha sempre sorriso imbarazzato, ripetendo che era felice e per favore basta: «Fatemi godere questo bel momento con la Juve». Va bene, ti sei goduto il momento. Ma ora si torna a casa, Carletto: il Boca e l’Argentina sono il tuo ineluttabile destino.

 

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