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MUSEI ANTI SELFIE-STICK - DOPO GLI UFFIZI, IL MOMA E IL METROPOLITAN ANCHE VERSAILLES BANDISCE IL BASTONCINO PER GLI AUTOSCATTI - IPOTESI MULTA PER CHI LO USA

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Michele Smargiassi per “la Repubblica”

 

TU gli concedi un dito (sullo smartphone), e loro si prendono il braccio (meccanico). Di diritto o di fatto, i fotocellulari hanno ormai campo libero nelle sale da museo del mondo. Ma i selfie stick no, con tutta la buona volontà quelle canne da pesca per autoritratti sono troppo per le coronarie di un direttore, che vede i suoi marmi classici e le sue tele rinascimentali sfiorati da quegli aculei telescopici ormai più fitti delle lance in un dipinto di Paolo Uccello.

 

E così, uno dopo l’altro ecco di nuovo i divieti, e presto forse anche le multe, per chi insiste a sfoderare il bastoncino telescopico, gadget dal successo travolgente, protesi del narcisismo fotogenico brevettata nel 2005 da un inventore canadese, ma esplosa come mania di massa solo nell’era del fotodiluvio universale, fino alla recentissima consacrazione pubblica nelle mani del presidente Obama.

SELFIE STICKSELFIE STICK

 

E dunque ora anche la Reggia di Versailles proibisce i periscopi dell’egonauta: per adesso si limita a esporre cartelli di divieto e a un’opera di dissuasione caso per caso, in attesa però di cambiare il regolamento.

 

Ma l’elenco dei musei “liberi dai bastoncini” è ormai molto lungo. Iniziarono l’Hirshhorn di Washington e il Fine Arts di Houston, seguirono a ruota i colossi: il Metropolitan, il MoMa e lo Smithsonian. A Parigi, il Centre Pompidou è indeciso, mentre il Louvre si affida al buon senso dei visitatori. Del resto, fu proprio al Louvre che dieci anni fa il tradizionale divieto di fotografare le opere andò in crisi per insistenza dei sindacati dei custodi, al grido di “chi siamo noi per dire alla gente qual è il modo giusto per godersi la visita?”.

 

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L’atteggiamento ostile alle foto è cambiato, o meglio capitolato, nell’era dei fotocellulari, anche perché i direttori si sono accorti che quelle fotine indecenti viralmente diffuse sui social network sono una promozione più potente di qualsiasi raffinatissimo sito Internet. Il Whitney Museum promosse addirittura una mostra, l’anno scorso, con lo slogan “Jeff Koons è strepitoso per i selfie!”.

 

In Italia un movimento organizzato, sotto il nome di Invasioni Digitali, nella primavera del 2013 forzò in modo incruento (e negoziato) i portoni di decine di musei scattando e diffondendo. Ma già due anni prima il Vittoriale, rompendo la solidarietà iconoclasta dei siti culturali, aveva invitato i fotografi a una giornata di scatto libero tra i memorabilia dannunziani che avrebbe lusingato il narcisismo del Vate. Finché, il 22 maggio del 2014, il ministero per il beni Culturali ha decretato il liberi tutti: fotografie lecite, purché non a scopo di lucro.

 

OBAMA CON SELFIE STICKOBAMA CON SELFIE STICK

E adesso? Certo, il nuovo regolamento vieta ancora flash, fari, “stativi o treppiedi”. Il selfie stick è uno “stativo”? Bella domanda. Non poggia per terra, è di fatto una protesi del braccio. Ma disturba! Certo. Mal manovrato da euforici visitatori, rischia di infilzare una tela o l’occhio di un collega. E comunque trasforma una sala di museo in un molo di pescatori. Ma la foto a braccio teso, che resta autorizzata anche nei musei che vietano lo stick, è poi così meno invasiva?

 

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«Una cosa è tenere il cellulare col braccio allungato, un’altra è un bastoncino lungo tre volte tanto», ha spiegato al New York Times una dirigente del Metropolitan. Ma anche senza bastoncini, davanti alla Gioconda come alla Primavera del Botticelli si leva perennemente un bosco di braccia che reggono firmamenti di schermini luminosi. Ai custodi non resterà che cacciare gli asociali che vogliono ancora guardare le opere con quegli strumenti obsoleti che chiamiamo occhi.

 

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