IL “MAIALE” SI MANGIA IL “FIGHETTO”: ANCELOTTI DEMOLISCE IL LOGORO TIKI TAKEN DI GUARDIOLA E PORTA I MADRILENI IN FINALE PER ‘LA DECIMA’ COPPA DEI CAMPIONI – DOPPIETTE DI SERGIO RAMOS E CRISTIANO RONALDO (CHE CENTRA ANCHE IL RECORD DI GOL IN UNA EDIZIONE DI CHAMPIONS)

Francesco Persili per ‘Dagospia'
«Guardavo quelle nove coppe Campioni il primo giorno che ho messo piede al Bernabeu e mi ripetevo belle, belle ma ne manca una». Non una qualsiasi, ma la Decima. Ancelotti l'ha messa da subito nel mirino. Quella che stava diventando l'ossessione del madridismo è diventata «una straordinaria motivazione», «un pensiero stupendo». In un ambiente che rischiava l'autocombustione, l'equilibrio di Carletto ha fatto la differenza.
Se la Casa Blanca torna a giocare, dopo 12 anni, la finale di Champions, lo deve ai suoi fenomeni, alla BBC (Bale, Benzema, Cristiano Ronaldo) ma anche al calcio a dimensione umana di Ancelotti. Basta mezz'ora ai blancos. Doppio Sergio Ramos di testa, 15esimo gol in Champions di Cristiano Ronaldo (che poi farà anche il 16esimo a un minuto dalla fine) con record per il Pallone d'Oro portoghese: bye bye Messi e Altafini. Poker servito al Bayern e check-in per Lisbona. Appuntamento con la leggenda e con la Decima, per il Real e per Ancelotti che avrà la possibilità di alzare la sua terza Coppa Campioni come lo storico manager del Liverpool Bob Paisley. Tanta roba.
Dopo la semifinale-capolavoro del Milan contro il Manchester United del 2007 a San Siro, un'altra partita perfetta, o meglio una notte galactica, per Carletto che ha demolito il tiki-taken di Guardiola ché «il calcio è equilibrio, non è solo possesso palla ma anche difesa e contropiede»
Ci sono partite che cambiano la storia del calcio e la dividono tra un prima e un dopo. La notte di Monaco segna uno spartiacque. Con Ancelotti trionfa la scuola italiana che non è più solo associata ad un'idea di calcio ultra-conservativo ma ad un sistema fondato sull'organizzazione difensiva, sulle ripartenze veloci e su quel pensiero verticale che continua ad essere una delle forme più evolute della filosofia occidentale.
Bastava ascoltare le parole di Carletto: «Catenaccio non è una brutta parola. Sono italiano, abbiamo vinto tanto col catenaccio. Ma non pensate che vado a Monaco a difendermi». Dentro Coentrao, Modric e la BBC là davanti alla faccia delle accuse di difensivismo. «Se ha quei tre devi usare la loro velocità», aveva sottolineato Carletto.
Pressing, velocità, straordinario sfruttamento degli spazi. Non c'è stata partita. Ha vinto la squadra che ha giocato con maggiore intensità, quella che ha difeso più forte, quella che ha corso di più. In definitiva, quella che era messa meglio in campo. Il massimo con il massimo.
Canone estetico, tensione verso la perfezione. Al Real Madrid sono abituati così. È scritto nel codice genetico della Casa Blanca: l'eccellenza, la Casa Blanca non la chiede, ma la impone. Quando vieni dopo Zamora, Gento, Alfredo Di Stefano, Santillana, Juanito, Butragueno, Valdano, Raul, Zidane, non ti puoi accontentare solo di vincere. Porti sulle spalle tutta quella storia e devi essere ininterrottamente sublime.
Come il Real Carlo all'Allianz Arena. Si parlerà di nuovo spirito di Monaco per definire l'exploit della Casa Blanca nella città proibita. In Baviera nelle ultime nove gare i blancos avevano collezionato 8 sconfitte e un pareggio. Ma i rossi di Germania non avevano fatto i conti con la bestia nera Ancelotti, sempre imbattuto contro il Bayern.
«Abbiamo giocato male, colpa mia». Tempi duri s'annunciano per Guardiola già punzecchiato a più riprese da Beckenbauer per la noia del suo tiqui-taca e alle prese coi malumori di alcuni senatori della squadra (Ribery e Robben in primis).
Ancelotti, invece, festeggia la notte storica del madridismo: «Una partita perfetta. Era importante arrivare in finale dopo 3 semifinali, adesso andremo a giocarci la Decima con una motivazione fortissima». L'unica brutta notizia per il Real arriva da Xabi Alonso che, ammonito, salterà la finale di Lisbona. «Non l'ho tolto - spiega il tecnico emiliano - perché sul 3-0 la partita non è finita e io lo so bene...».
Comunque vada l'altra semifinale sarà derby: il Chelsea dell'ex Mou o l'Atletico di Simeone? «Non scelgo, i Blues sono più esperti ma i colchoneros hanno più entusiasmo». Il finale del ‘Don' Carlo è tutto sulla sua sfida nella sfida con Guardiola: «Ho ucciso il tiqui-taca? Ma no, il football non muore mai». Ci vuole sempre equilibrio. Anche dopo aver annientato il pensiero unico che ha dominato per anni il calcio europeo. La normalità di Carletto, a pensarci bene, è qualcosa di Galactico.

 

 

SERGIO RAMOS CRISTIANO RONALDO ANCELOTTI

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