MONTECARLO, GRAN CASINO’ MERCEDES- HAMILTON DOMINA MA PERDE LA GARA PER UN PIT STOP DI TROPPO - UN INGEGNERE SBAGLIA UN CALCOLO AI BOX, LA SCUDERIA TEDESCA: “ABBIAMO AVUTO PROBLEMI CON LA MATEMATICA”
Marco Mensurati per “la Repubblica”
SI CHIAMA presunzione e, negli anni, ha affondato transatlantici, devastato civiltà, fatto perdere guerre già vinte. Figurarsi se non riusciva a mettere lo zampino in una modesta gara di Formula 1, noiosa tra l’altro.
Meno scontata era la forma sotto cui la presunzione avrebbe scelto di fornire il suo contributo letale. Quanto accaduto al giro 65 del Gran Premio di Monaco, ha lasciato tutti a bocca spalancata: i meccanismi perfetti dell’astronave Mercedes si sono inceppati su un errore di calcolo di un ingegnere.
Una cosa banale, tipo 26-23. Vale a dire il vantaggio che in quel momento aveva Hamilton, leader della gara, sulla coppia Rosberg-Vettel, meno il tempo standard che si perde per un cambio gomme. Se il risultato dell’operazione avesse dato un margine di tre secondi e mezzo, il pit stop si poteva fare senza rischiare il sorpasso, altrimenti no. Assolutamente no.
«Abbiamo avuto problemi con la matematica», ha ammesso rosso in visto, più per l’imbarazzo che per la rabbia, Toto Wolff, l’austriaco a capo della Mercedes, uno che guida un colosso di tre fabbriche dislocate tra la motorvalley inglese e Stoccarda, che gestisce un budget che si favoleggia intorno ai 325 milioni di sterline l’anno e che può arruolare i migliori ingegneri tra i 270mila dipendenti del gruppo.
Per dire: si racconta che a Brixworth, dove fabbricano la power unit della W06 hybrid – la monoposto prodigio che vincerà questo mondiale – per far sì che tutte le viti siano strette esattamente con la stessa forza, abbiano collegato ogni singolo cacciavite ad un computer potentissimo, grande come una cabina armadio.
Ecco, pensare a questo, e poi immaginare un ingegnere tedesco seduto al muretto che sotto la pressione della fretta s’incarta su un 26-23 fa sorridere. Ma fa ancora più ridere il fatto che quel calcolo, alla fine, era assolutamente inutile, perché sin dal primo istante è apparso evidente a tutti che il cambio gomme non serviva affatto, la gara era già vinta, le Pirelli andavano benissimo e la safety car entrata in quel momento avrebbe portato Hamilton in carrozza fino a pochi giri dalla fine. Giri che poi, su un circuito cittadino in cui non si sorpassa, l’inglese avrebbe divorato comodamente, fino alla meritata doccia col Mumm.
«Quando mi hanno richiamato ai box» ha confessato Hamilton molti minuti dopo la fine della gara, recuperata la capacità di parola momentaneamente smarrita, «mi sono fidato di loro. Vedrai che faranno tutti così, ho pensato. Invece sono rientrato solo io, gli altri sono andati avanti. Quando sono uscito ero terzo».
No. Non c’era alcun bisogno di farlo, quel calcolo, non rispondeva ad alcuna necessità se non a una delirante smania di perfezione, una pervicace ansia da stravittoria, da sette a uno al Brasile sempre e comunque, anche quando in campo non c’è nessun Brasile da umiliare e la partita contro gli altri è già vinta. Con le gomme fresche, devono aver pensato al muretto, Lewis dà un minuto a tutti…
vettel podiohamilton 1rosbergverstappen
“Ambizione” si dice quando le cose vanno bene. Presunzione e arroganza quando vanno male. “La verità - ridevano i giornalisti al seguito della stella a tre punte – è che alla fine siamo tedeschi, sempre i soliti tedeschi”.