“PUTIN? NON MI HA ANCORA CHIAMATO, È DA UN PO’ CHE NON LO SENTO AL TELEFONO” - EZIO GAMBA, ALLENATORE DI JUDO DI "MAD VLAD" LASCIA LA RUSSIA E SI CANDIDA IN ITALIA ALLA PRESIDENZA DELLA FILKJAM (LA FEDERAZIONE CHE RAGGRUPPA JUDO, KARATE LOTTA E ARTI MARZIALI) – "PUTIN MI HA DATO LA CITTADINANZA RUSSA, MA IO LO VEDO SOLO COME UNO SPORTIVO. ORA HA LA SUA ETÀ, MA HA TALENTO. LA GUERRA CON L’UCRAINA? NON NE PARLO, TRATTO SOLO LE…”
Flavio Vanetti per corriere.it - Estratti
Allena i russi del judo dal 2008, è stato istruttore personale di Vladimir Putin, dal quale nel 2012 ha ricevuto passaporto e cittadinanza. Ma adesso Ezio Gamba, classe 1958, olimpionico a Mosca nel 1980 e medaglia d’argento nel 1984 ai Giochi di Los Angeles, perle di una bacheca smisurata, è pronto a tornare in Italia.
Dalla Russia con amore, verrebbe da dire: per lo sport che l’ha reso grande, ma anche per il suo Paese «perché è indiscutibile che prima di tutto io sia italiano». Il suo rientro dopo 16 anni coincide con una candidatura: correrà per la presidenza della Filkjam, la federazione che raggruppa judo, karate lotta e arti marziali.
Appunto: che cosa ha in mente per una federazione che è un prisma a più facce?
«Come a suo tempo in Russia, la mia priorità è portare un’atmosfera piacevole di lavoro. Quindi, pianificazione e programmazione: non serve guardare a due mesi di distanza, semmai bisogna spingersi a dieci o a quindici».
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L’Italia si è anche lamentata degli arbitraggi: abbiamo ragione o siamo «piagnoni»?
«Io credo che non siamo stati un bersaglio degli arbitri. Una valutazione può essere a favore o a sfavore: sottolineo però che gli errori gravi sono calati rispetto al passato».
Si può pensare a un boom del judo e delle arti marziali?
«Si può e si deve puntare sull’aspetto educativo e formativo. Ad esempio, io spingo per insegnare, ai giovani ma anche a persone della terza età, la tecnica della caduta del judo: aiuterebbe a evitare tanti infortuni nella quotidianità».
Prima della Russia lei ha avuto anche un’esperienza in Africa.
«È stata eccezionale, sia sul piano umano sia su quello sportivo. Ecco, lì ho imparato l’importanza dell’organizzazione: non c’era nulla, ho dovuto pianificare tutto».
Putin è d’accordo che lei lasci?
(ride) «Non mi ha ancora chiamato, è da un po’ che non lo sento al telefono. Ho il suo numero? No, mi chiama la sua segreteria o mi manda messaggi. L’ultima volta gli ho fatto i complimenti per il centro olimpico aperto l’anno scorso: ha 360 camere e il tatami più grande del mondo, una struttura meravigliosa».
A Londra 2012 lei gli regalò risultati trionfali.
«Arrivò che avevamo già vinto 4 medaglie, fare meglio era difficile: gli dissi che quel giorno avremmo potuto conquistare un oro. E così fu. Come riconoscenza mi diede la cittadinanza: non ho mai avuto casa in Russia, ma il passaporto mi ha semplificato il lavoro».
Com’è il judoka Putin?
«Ho sempre cercato di vederlo in quel modo, come uno sportivo: ora ha la sua età, ma ha talento. Con lui ho fatto una sorta di “divertimento motorio in coppia”, però quello che mi ha colpito è quanto sta bene con la squadra: conosce i nomi di tutti, quando è assieme agli atleti mi sembra un bambino curioso che gioca con il Lego».
Lo sport russo è stato isolato in conseguenza della guerra con l’Ucraina.
«Non mi sono mai spinto in commenti politici, ma le difficoltà sono state enormi. Hanno pagato gli atleti e la federazione, costretta a spendere tanti soldi in più. Abbiamo partecipato solo al 45% delle gare di qualificazione olimpica, ma otto judoka per la federazione mondiale erano idonei. Invece sono stati sospesi, si dice che oltre al Cio ci sia di mezzo… la Cia. Alla fine hanno approvato 4 wild card per figure di rincalzo. I ragazzi hanno rinunciato e i giornali hanno detto che la Russia boicottava i Giochi…».
Nel dramma di un conflitto ormai lungo lei vede uno spiraglio di pace?
«Della guerra non parlo: tratto solo le questioni che conosco a fondo. Ma ricordo che i russi hanno spesso ospitato anche gli ucraini per gli allenamenti, io sono sicuro che una fratellanza di fondo rimarrà sempre: credo allora che tra un po’ la pace tornerà».