LA RETROMARCIA DI LAUDA - DOPO LA SPARATA (“MACCHINA DI MERDA”) L’EX PILOTA SI SCUSA MA LA FERRARI NON CI STA: “DI LAUDA PREFERIAMO RAMMENTARE I SUCCESSI CON I NOSTRI COLORI” - PROSSIMA SETTIMANA VERTICE TRA NIKI E MONTEZEMOLO - SCINTILLE SENZA FRENI TRA MERCEDES E BREMBO
Flavio Vanetti per “Il Corriere della Sera”
Sono casi che rientrano nello storico rapporto di amore e odio tra l’Italia e l’area di lingua tedesca. Un po’ si litiga, un po’ si fa pace. Niki Lauda ieri ha telefonato a Luca di Montezemolo, già suo direttore sportivo, e al presidente della Ferrari ha porto le scuse per l’intervista a El Pais nella quale ha definito la F14 T (e non solo: nel giudizio è accomunata la McLaren Mp4-29) «una macchina di m...». Perdonato, colui che fu icona del Cavallino? La risposta è «ni».
Si sa che Niki è un tipo rude e deciso, che non le manda a dire, ma a Maranello non sono di sicuro piaciuti lo stile e il frasario verso una scuderia che negli anni 70 gli ha permesso di centrare due Mondiali e di porre le basi del suo mito, completato dal terzo titolo vinto — ma guarda un po’ — con la McLaren nel 1984.
I dati di fatto sono eloquenti: la Rossa di quest’anno è lì da vedere, nelle difficoltà e nelle prestazioni tutt’altro che esaltanti. Da un suo ex pilota non si pretende la negazione della verità, ma nemmeno ci si aspetta un’uscita tanto greve: l’irritazione, già smorzata domenica dal team principal Marco Mattiacci («Di Lauda preferiamo rammentare i successi con i nostri colori»), non è montata. Ma non è ancora svaporata: probabilmente se ne riparlerà la prossima settimana, quando Niki sarà ospite di Montezemolo a Maranello per discutere anche dei correttivi da proporre per migliorare la F1 attuale.
Lauda, oggi dirigente della Mercedes, è diventato un alleato della Ferrari sul progetto di riunire le varie componenti del circus per affrontare un quadro che è sempre più negativo. Gli indicatori della disaffezione verso il campionato, infatti, sono più allarmanti che mai. Giusto per fermarsi al pianeta-Italia, il Gp di Germania, in rapporto all’edizione del 2013, ha fatto registrare un -38% sul fronte del numero medio di telespettatori della Rai (che ha trasmesso in differita) e una flessione del 30% dei dati di Sky, titolare dei primi diritti. Gli «Stati Generali» invocati da Montezemolo, dunque, sono più che opportuni e stanno approdando al primo obiettivo: fare sì che abbiano luogo.
Ma c’è un altro fronte aperto nelle relazioni turbolente italo-teutoniche, perché non è necessario arrivare alla Merkel per scoprire il fenomeno: basta fermarsi alla F1. È il caso del disco del freno anteriore scoppiato sabato in qualifica sulla macchina di Lewis Hamilton.
La Mercedes ha reagito in maniera dura: «Inaccettabile, anche perché non è la prima volta che capita» ha dichiarato Toto Wolff, l’uomo forte del team (assieme a Lauda). Bersaglio: ancora l’Italia, nel senso della Brembo, partner del team leader del Mondiale. A bocce ferme, e dopo una gara filata via senza inconvenienti, non ci sono reazioni ufficiali. Ma le indiscrezioni non mancano, anche perché qualcosa non quadra. Primo: non è vero che è la reiterazione di altri episodi.
Secondo: se i dischi italiani sono stati giudicati insicuri, perché allora sono stati riproposti — così risulta — sul retrotreno di entrambe le monoposto, dopo che la Mercedes aveva annunciato il passaggio totale (avallato dalla Fia) a materiali della Carbone Industrie che già Rosberg aveva utilizzato sull’avantreno?
Di più: è da escludere un errore del team? La presenza del presidente della Daimler, Dietrich Zetsche, ha fatto sì che fosse più facile scaricare la colpa sul fornitore? La Brembo tace, ma è certo che non abbia gradito certe dichiarazioni estreme. Peraltro, quanto prima analizzerà con i tecnici della scuderia la situazione: i guasti non devono più verificarsi.
Nessuno ha la convenienza a tirare la corda; di sicuro non ce l’ha la Brembo, che in Germania ha visto il fatturato crescere del 23,3% grazie agli accordi commerciali con la Mercedes per le vetture stradali. Più che il rapporto di amore e odio tra noi e i tedeschi, qui c’è di mezzo il «grano».