SOLO ORA CHE RISCHIA LA VITA, “L’ANTIPATICO” SCHUMACHER HA SAPUTO EMOZIONARE DAVVERO SPORTIVI E TIFOSI

Malcom Pagani per il "Fatto quotidiano"

Capita di commuoversi per chi ti ha fatto commuovere, ma è più facile farlo con chi dell'eccesso è stato un manifesto. Schumacher non è Maradona e non era Best. Non è Tyson e nemmeno André the Giant, l'enorme wrestler mezzo attore e mezzo combattente che girò il pianeta fingendo di prenderle e darle a seconda del copione e che a Grenoble, dove Schumacher aspetta immobile e intubato una nuova partenza, era nato 67 anni fa. Ieri questo virtuoso del pedale, che dipingeva traiettorie impercettibili tra dominio e azzardo, ne ha compiuti, senza mai recitare una parte, 45.

Fuori sciamavano in un carnevale triste quelli che ieri gli battevano le mani e che domani gli saranno grati per sempre. L'hanno visto giovane e bello nella cornice dell'eroe e lì vogliono conservarlo. Con l'asettica ipocrisia delle beatificazioni sospette e la forza del sincero trasporto popolare, Schumacher è già diventato altro da sé.

Non più Schumi l'antipatico che litigava con Senna o Villeneuve, né la stella scontrosa che scivolava via a fine gara lasciando in eredità qualche parola alla Bild poi sbobinata nell'incredulità dai cronisti, né ancora il 40enne che durante la non luminosa esperienza alla Mercedes, consumata la rottura con Maranello, poteva far coincidere la plastica indifferenza verso i giudizi collettivi ("Forse non mi amano proprio tutti, ma che posso farci?") in un autografo negato a un bambino con il cappello Ferrari in testa e la risposta pronta: "Non importa, tanto io tifo Alonso".

La permeabilità al dolore, il fato, la sfortuna (e non certo l'epica del rischio connaturata alle "icone del brivido" come pure bolsamente e senza troppi pudori è stato scritto per tinteggiare di ardire la banalità di un atroce incidente in un dì di festa) lo hanno reso normale. Somigliante all'umanissimo personaggio di un libro di Julian Barnes: "Se è vero che rischiamo di elevarci, allo stesso modo rischiamo di precipitare. Non sono molti gli atterraggi morbidi".

Per la prima volta in vita sua, mentre rischia la pelle, Schumacher non è più avvertito come il pilota che conosce la musica del motore e dirige un'orchestra di comprimari già soddisfatta di arrancargli dietro, ma è solo lo sfortunato sciatore che da padre, su altre piste, ha perso la strada come accade quando nel bianco si fa più silenzio del tollerabile. Dopo un'esistenza spesa nei rumori di fondo, non può ascoltare i più sorprendenti. Sono globali. Si muovono rapidi.

Formano carovane virtuali di messaggi e poi si trasformano in volti che superano le frontiere e con l'unica bandiera rossa sopravvissuta ai tempi, sostano fuori da un palazzone di Grenoble. È un'attesa laica e mistica, in vista del miracolo che ora dopo ora, trasfigura il presente e senza cancellare il mito del campione, edifica a fianco quello dell'uomo senza peccato. Il paradigma del filantropo.

Il manifesto dell'universalismo sentimentale applicato allo sport che nella sua pragmatica visione, avrebbe convinto poco Schumacher medesimo. Per lasciare spazio alle parabole sofferte, dai giornali sono scomparse le domande di un ventennio. Biografie rivisitate, smussamenti e paginate da etilometro della retorica, l'esibizionismo da Twitter, il quotidiano parere dell'esperto di traumi, l'augurio sinistro : "Forza Schumi, vincerai anche il gran premio più importante", il titolo schizofrenico (Tuttosport, ieri: "Ore di ansia, ma anche di speranza") il giornalista travestito da prete in cerca di necrofilìa e il vero Papa, Francesco, ormai superato, nella classifica dei nomi più cercati su Google dai postmoderni, proprio da Schumacher.

Nell'evento brutale e straordinario, l'atleta più schivo, razionale e riottoso alle parate è stato abbracciato in un'empatia che al raziocinio nulla deve. È un'onda che monta tra gente comune, colleghi di rischio e governanti. Pronti a pregare e offrire il loro personale ricordo al libro di un'anticipata memoria.

Merkel e Valentino Rossi. Gli antichi rivali come Barrichello e due figure lontane tra loro, Niki Lauda e Maradona che pure, quando rischiarono di morire arsi tra le lamiere al Nürburgring o tra fiumi di birra e molto altro, ricevettero ondate di affetto profondamente diverse per intensità. Forse aveva ragione Lucio Dalla.

Quando dopo quattro lustri da incubo Schumacher riportò la Ferrari a sognare, disse che a permettere il prodigio era stato un napoletano. Un meridionale inconsapevole che aveva declinato il danno collaterale della fama in pretesa distanza dal caos: "Sinceramente non sono un uomo di spettacolo". Un'evanescenza del privato (occultato in Svizzera) custodita nell'idea fissa di non alimentare il circo, non concedere alla lotteria niente più che la propria vita (non era abbastanza?), non raccontarsi più di quel che già avevano fatto da quando, con i pantaloni corti, aveva messo il culo su un kart.

Qualcuno lo considerava insopportabile, altri intrattabile, altri intruso ed estraneo a un ricco recinto nel quale era entrato a differenza di quasi tutti gli altri, senza un marco in tasca. Nell'assenza oggettiva e nella narrazione fiabesca (secondo la Bild l'ex pilota si sarebbe spostato fuori pista per soccorrere una bambina) Schumacher ha pacificato le fazioni.

Tutti idealmente a Grenoble, detrattori e adoratori, appassionati e delusi che smarrite le figurine dell'adolescenza (da Prost a Piquet) al momento della F1, di solito si danno alla macchia. Da Puri, India, dove un originale scultore di sabbia, Pattnaik, gli ha dedicato una creazione, allo spogliatoio dell'Arsenal.

Gli auguri di guarigione si sono sprecati. Spazzando via i distinguo sul gelido "Schumi", sull'altero automa che non aveva voluto imparare l'italiano (non era vero o almeno non del tutto) e restituendo, deposte le asce di guerra in un circuito immaginario, una lettura diversa del fenomeno. Intimidita dalle contingenze (sperare bisogna, solo questo si può fare), con la porta sul nulla sbarrata dal rispetto per il dramma e dall'emozione collettiva francamente sorprendente verso chi, non diversamente da Cruijff, alla simpatia aveva sempre preferito talento e consapevolezza di sé.

Al dio di un pomeriggio non si chiede altro. Un giorno l'olandese volò sull'età acerba di uno spavaldo Valdano con una veronica. Quello protestava e Johan lo tacitò: "Ragazzino, a 21 anni, a Cruijff si dà del lei". Lo Schumacher maturo avrebbe fatto lo stesso. Il ventenne si sarebbe comportato come Valdano. Ma come fosse davvero Schumi lo sapevano in pochi. Lui non srotolava il filo e così, accontentandosi, bisognava ricamare di fantasia.

 

UN FAN DELLA FERRARI DAVANTI ALL OSPEDALE DI GRENOBLE DOVE E RICOVERATO SCHUMACHER SCHUMACHER FESTEGGIA CON JEAN TODT E EDDIE IRVINE NEL NOVANTOTTO SCHUMACHER E LA MOGLIE CORINNA NEL DUEMILATRE SCHUMACHER E LEWIS HAMILTON MICHAEL SCHUMACHER SCHUMACHERschumacherscia1pfiat28 barrichello schumacher lapschumacher01agnelli schumacher

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