LE SQUADRE DI CALCIO SONO DIVISE PER DIVISA – UN TEMPO NIKE E ADIDAS “MONOPOLIZZAVANO” IL MERCATO E VESTIVANO L’87% DEI CLUB MENTRE: ORA HANNO "SOLO" IL 50% - QUESTI MARCHI HANNO SCELTO DI SCARICARE I CLUB PIÙ SCARSI E DEDICARSI AI TOP TEAM CHE OFFRONO UNA VISIBILITÀ MAGGIORE - DALL’ALTRA PARTE LE SQUADRE PREFERISCONO AFFIDARSI A MARCHI PIÙ PICCOLI CHE OFFRONO, PERÒ, UN SERVIZIO MIGLIORE...
Estratto dell’articolo di Antonio Cefalù per “la Repubblica”
Non serve la macchina del tempo, ma giusto un minimo di memoria. Adidas e Nike, dieci anni fa esatti, sponsorizzavano 28 delle 32 squadre più forti d’Europa, quelle della Champions League. Oggi è cambiato tutto. E sembra quasi la fine di un duopolio. Nella Champions che inizia Nike e Adidas sono passate dal vestire oltre l’87% dei club a doversi accontentare del 50%, mettendo il proprio logo sulle maglie di otto squadre a testa.
Una piccola rivoluzione, un allargamento degli orizzonti. Quest’anno, accanto ai soliti due colossi, avremo 7 marche: le tedesche Puma e Jako, le britanniche Castore e Umbro, l’italiana Macron, la statunitense New Balance, la giapponese Mizuno (per la Lazio). Infine c’è il caso particolare di EA7, la marca sportiva di Armani, che progetta la divisa del Napoli ma non la produce. Fra le italiane solo l’Inter è rimasta fedele alla Nike, mentre il Milan ha sostituito Adidas con Puma nel 2018.
lautaro martinez henrikh mkhitaryan inter milan
Le ragioni dietro questo cambio di paradigma sono due. «Da un lato, Nike e Adidas hanno scelto di limitare il numero di club che sponsorizzano», spiega Ricardo Fort, fondatore della società di consulenza Sport by Fort. «Non è che gli altri stiano offrendo ai club accordi più ricchi. Piuttosto, Nike e Adidas hanno lasciato scadere un po’ di contratti, assicurandosi di tenere con sé solo i club più importanti perché preferiscono essere estremamente visibili ma in poche partite, quelle che vedranno più persone», cioè dai quarti di finale in poi, «e anche così mantengono invariati i ricavi».
Il secondo scossone nel mercato arriva dai club, «che hanno scelto di lavorare con marchi più piccoli, anche a costo di sacrificare un po’ di soldi, perché così possono ricevere migliori servizi», continua Fort. «Quando firmi con questi colossi, infatti, ti aspetti grandi cose, che le tue maglie finiscano negli scaffali in Cina o in Australia. Ma poi non succede per tutti».
Nike e Adidas, infatti, dividono le proprie squadre fra Élite, Premium e Standard. La differenza fra i vari livelli di importanza non è solo nel valore del contratto, ma anche nelle attenzioni offerte alle singole società.
Un club élite ha una squadra dedicata per il disegno di maglie uniche e speciali, con la possibilità di sfornarne nuove edizioni anche in mezzo alla stagione, oltre a promozione e distribuzione globali. Più si scende nella piramide, meno flessibilità c’è, fino ad arrivare a club con maglie “standard”: modelli base, cambiano solo i colori societari e la produzione è limitata […]