ORA CHE MCQUEEN HA VINTO L'OSCAR È BENE RICORDARE CHE NON NASCE DAL MONDO DEL CINEMA. E' FIGLIO DELL'ARTE E DI QUELLA LONDRA CHE DEL LINGUAGGIO DELL'ARTE È LEADER INDISCUSSA. ANCHE SE NON PUNTA ALLA GRANDE BELLEZZA

Alessandra Mammì per Dagospia

Ok abbiamo vinto un Oscar, ma non siamo i soli. Quindi in una pausa da ebbrezza di festeggiamenti, dovremmo giornalisticamente riflettere su un altro Oscar ben più pesante nel panorama internazionale. Quello vinto da Steve McQueen, miglior film con "12 anni schiavo". Proprio lui che esordì regista alla Quinzaine di Cannes nel 2008 tra giornalisti cinematografici che tra loro si chiedevano "Ma è parente"? No. Neanche lontanamente, bastava guardarlo. Nero, corpulento, massiccio. Nessuna parentela possibile con il suo omonimo dalla vita spericolata.

Poi nel 2011 al festival di Venezia con "Shame" già lo si conosceva e nessuno pensava più all'altro, al sex symbol biondo della Hollywood ruggenti anni Sessanta. Con "Hunger" il McQueen nero aveva vinto la Camera d'Oro e lanciato una stella : Michael Fassbender nel corpo asciugato fino alla morte di Bobby Sands, prigioniero politico, militante dell'Ira, irlandese tosto che si lascia morire di fame.

Con "Shame" di nuovo Fassbender come uomo d'affari, erotomane, disperato schiavo del vizio Ora che invece con gli schiavi veri e storici ha vinto l'Oscar tutti vedono McQueen come un simbolo del cinema dell'era Obama. Ma lui non arriva dai ghetti di Los Angeles, non ha mai avuto antenati nelle piantagioni della Louisiana. Semmai qualche lontana origine in Trinidad e un certificato di nascita del 1969 che lo vede residente in West London.

Più interessante è sapere che ha frequentato il Goldsmith College, lo stesso collegio di Damien Hirst e degli Young British Artists da Tracey Emin a Sarah Lucas. Colleghi celebri, un po' più vecchi, di quelli che nelle scuole lasciano il segno. Anche se Steve più che alla consacrazione di nuove icone da fine millennio ( tipo teschi o squali in formalina), fin da subito sforna cortometraggi, per lo più in bianco nero, a volte muti, ma sempre fisici, coinvolgenti e carnali.

"Bear": due lottatori neri (uno è lui) che oscillano fra erotismo e aggressività. Un cavallo morto a pascolo. New York vista da un bidone (provvisto di telecamere) che rotola per le strade di Manhattan. Intervista dopo intervista dichiara che i suoi riferimenti vanno da Warhol a Dreyer, che il maestro è Jean Vigo ma ha guardato anche Dziga Vertov e Eisenstein. Insomma cultura alta, tra cineclub e storia del cinema.

Una passione speciale poi la nutre per Buster Keaton . "Deadpan" (il ragazzo ha studiato: letteralmente faccia morta, filologicamente l'impassibile tipologia di comicità alla Keaton, ) è il video del 1997 che riprende un celebre film di Keaton. Quello in cui gli crolla la facciata della casa intorno e lui resta incolume e "deadpan" proprio nel vuoto della porta.

Al posto dell'esile Keaton, ecco ora il grosso corpo del nostro Steve ancor più gigantesco e minaccioso nella ripresa dal basso. La casa cade, risale ricade da più angolature. Nel 1999 anche grazie a questo, vince il Turner Prize. Tracey Emin tra le sue più convinte sostenitrici, si spella le mani dall'applauso.

Ma è con Documenta 11 nel 2002 che McQueen conquista la stima profonda del mondo dell'arte internazionale. "Western Deep" non è solo un video. E' una performance proiettata sul muro che costringe lo spettatore a scendere negli intestini di una miniera d'oro in Sud Africa, a soffrire nell'ascensore che ti porta giù in una discesa agli inferi che sembra non finisca mai, a brancolare nel buio, a sopportare rumori metallici che rimbombano nei cunicoli, a sentire la claustrofobia, la fatica persino.

Per quanto esperienza virtuali, molti spettatori soffocanti non arrivavano alla fine. C'era già il regista di "Hunger" che riduce a pelle e ossa Fassbender. Anzi di più: persino la pelle si squama tanto la fame l'ha resa sottile come la schiena di Lupita Amondi Nyong'o (Oscar pure lei come miglior attrice non protagonista) si apre sotto le frustate e i nostri inorriditi occhi.

McQueen con Documenta dunque diventa un numero uno della nuova scena della BritArt. Riceve onorificenze ma viene anche spedito come soldato in Iraq. Lì vorrebbe fare un film, non lo permettono. Troppe restrizioni chiede l'esercito, troppa fame di verità ha il nostro. E allora, al ritorno, fa una mostra: 155 pannelli con tutte le foto tessera dei soldati morti laggiù e in ogni pannello in alto a destra la silhouette della Regina come da medaglia. "Queen and Country" si chiama il lavoro.

Altrove lo avrebbero sanzionato, esiliato, emarginato. Gli inglesi invece gli chiedono di rappresentare la Gran Bretagna alla Biennale del 2009. God save the Queen. Che ha la vista lunga. Ora che McQueen ha vinto l'Oscar è bene ricordare tutta questa storia per chiarire non solo che non è parente ma che il primo nero consacrato da Hollywood non è neanche americano, non ha bisnonni in Louisiana e non nasce dal mondo del cinema. E' un uomo europeo, figlio dell'arte e di quella Londra che del linguaggio dell'arte è leader indiscussa. Anche se non punta alla Grande Bellezza.

 

Premio Oscar al film Dodici Anni Schiavo years a slave best supporting actress nominee lupita nyongo in custom made prada she says she chose blue because it reminds me of nairobi so i wanted to have a little bit of home with me brad pitt 12 years a slave 12 years Slave 12 years a slave 12 years a slave 12 years a slave Twelve Years a Slave di mcqueen

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