TENNIS DOTTO – ‘’DJO’’ ESISTE E GIOCA AL TENNIS - LA PERFEZIONE NON È DI QUESTA VITA. FEDERER L’AVEVA SFIORATA VENERDÌ CONTRO ANDY MURRAY. IMPOSSIBILE REPLICARE DUE GIORNI DOPO CONTRO UN ANDROIDE CHIAMATO DJOKOVIC
Giancarlo Dotto per Dagospia
La perfezione non è di questa vita. L’aveva sfiorata venerdì contro Andy, lasciando il mondo attonito a farfugliare elogi che sembravano preghiere. Impossibile replicare due giorni dopo contro una disumana entità che per comodità chiameremo Djokovic.
Quanto siano spesso mediocri le storie della vita lo dimostra non tanto la vittoria di Nole su Roger in campo, quanto quella di Becker su Edberg in tribuna, uno che risulta buio anche da biondo, buio e gonfio come certe pantegane sazie, contro l’adone vichingo illeso negli anni.
La bramavamo tutti l’ottava di Wimbledon, il suo Taj Mahal in erba. Maledizione. Era il lieto fine, l’ultima occasione. Avremmo voluto rivedere per una volta la racchetta di Mary Poppins, quella che contro Murray riceveva pallacce velenose e rimandava fiori, farfalle, ricami, note mozartiane, quel suo tennis da svenimento estetico.
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E’ stata invece battaglia durissima. Punto su punto, almeno per tre set. Esaltante vedere Sua Grazia, lontano dal suo meglio, infilarsi l’elmetto, scendere in trincea e battersi a mani nude con quell’androide costruito pezzo a pezzo in laboratorio. Lanciare anche la stampella nel tie-break del secondo set, un sanguinario corpo a corpo e spuntarla, ma solo per differire il malvagio fine.
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Sua Grazia non ce l’ha fatta a scardinare l’Uomo Gomma. Meno fluido, meno centrato, più pesante, più gratuiti, meno servizio, troppe seconde, e molto, molto più infastidito. Sul “fastidio” di Roger Federer un giorno scriverò un saggio di duecento pagine.
Prima era Nadal, oggi Djokovic. Il suo incubo da manuale. Fastidio che diventa nausea, poi disgusto e infine resa per doversi battere e dannare contro un nemico in cuor suo inaccettabile, le muraglie ottusoidi del tennis contemporaneo, in cuor suo covando anche sospetti che non potrà mai formulare. Storie che hanno a che fare più con la scienza che il talento.
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Roger è finito abbastanza presto nella tela vischiosa di Nole. A cominciare dallo snervante ticchettio della palla fatta rimbalzare tre volte più sei al servizio, una raffinata tortura. E poi, là dove Federer sfinisce e finisce, quel suo riprendere tutto, anche le mosche, risposte sempre profonde, colpi che gli rimbalzano a un millimetro dalle unghie, spolverando il gesso.
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Profondo, potente, infallibile, capacissimo di angolare e incrociare, di dritto e di rovescio. Una macchina perfetta, controllata da una finissima testa. Ma sapete una cosa? Quando smetteranno Nadal o Djokovic, si dirà: il tennis continua. Avanti un altro androide. E quando lascerà Roger?