1. ALE-DANNO-MARINO, ULTIMA SFIDA. MA I ROMANI SE NE FREGANO: AL BALLOTTAGGIO L’ASTENSIONE POTREBBE SALIRE (52% AL PRIMO TURNO, DI CERTO SOTTO IL 50 AL SECONDO) 2. LORO FANNO BATTUTE COSÌ: “MARINO È UN OLOGRAMMA DI PARTITO”, DICE UNO; “CHE DEVO FARE PER PERDERE? ALLEARMI CON RUTELLI” DICE L’ALTRO (CHE POI QUANDO VINCERÀ, PERCHÉ VINCERÀ, I CONFRONTI CON UN SINDACO COME RUTELLI GLI SARANNO SCONSIGLIATI) 3. GRAN SERATA PER MARINO RIDENS IN CASA VALSECCHI CON MARCO MULLER, UMBERTO CROPPI, CHRISTIAN DE SICA, MATTEO GARRONE, GIOVANNI VERONESI, ALESSANDRO SALEM (DIRETTORE GENERALE MEDIASET), ANDREA OCCHIPINTI, FAUSTO BRIZZI, FABRIZIO BENTIVOGLIO, PAPPI CORSICATO, BARTOLOMEO PIETROMARCHI, MARCO BELLOCCHIO E LILIANA CAVANI

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Mattia Feltri per La Stampa

In tempo di crisi una «grande vittoria» può essere anche il «ritorno dalla pajata». La fine delle restrizioni sanitarie scala le vette della campagna elettorale, in quanto a suggestione, per merito dell'annuncio di Gianni Alemanno. Il quale aveva individuato l'errore massimo della consiliatura nell'abominevole crapula di piazza Montecitorio con Umberto Bossi, a suggello della pax romana.

Era l'ottobre del 2010 e i due si scambiarono polenta e coda alla vaccinara, e la soluzione gastrononica - viste le ristrettezze economiche - continua a essere gettonatissima. Ieri i duellanti del ballottaggio per il Campidoglio hanno siglato la tregua in nome delle eccellenze alimentari laziali: guanciale, corallina, pecorino eccetera. È dura sollevare il plumbeo morale collettivo se si fa la minestra con la verdura che c'è. Alemanno e Ignazio Marino si sono ritrovati a ingolosire l'elettorato più indolente della storia (52 per cento al primo turno, quasi sicuramente sotto il cinquanta al secondo) con l'alta filosofia, diciamo così.

È difficile figurarsi i romani infiammati per i matrimoni gay, o per qualsiasi declinazione alternativa dell'unione fra persone dello stesso sesso. Sarà contro natura o no? È un diritto o nemmeno per idea? Il dibattito lunare ha trovato un punto fermo nella desolazione di Marino: «Dipende dalle leggi nazionali».

Ecco, appunto. La qualità diafana del dibattito è transitata da dissertazioni sullo ius soli e sul testamento biologico e ha trovato la vetta sullo standard di cattolicità della coppia. Quanto ad Alemanno, ha certificato l'ex ministro Maurizio Sacconi: «È una garanzia»; e Marino ha soltanto scostato la questione: «Non mi faccio dare patenti da Alemanno». Il dubbio che i credenti si sentano già sufficientemente rassicurati, per esempio dal Papa, non ha assalito nessuno.

Non c'è di peggio che cercare di volare alto senza staccare i piedi da terra. L'assenza di un quattrino impedisce di imbastire una propaganda affascinante. Pensate ai lunghi anni del tandem Francesco Rutelli/Walter Veltroni, in cui Roma si dava un tono con le mille piazze (Rutelli riuscì a inaugurare una piazza Stanlio e Ollio nella borgata di Acilia), coi lavori per il Giubileo, con l'Auditorium, con la Festa del Cinema, e dove non arrivavano i soldi bastava la fantasia: le notti bianche di Veltroni, per quanto derise, trascinavano in strada tutta la città.

Chiedere di questi guizzi (per non dire degli investimenti) agli esangui contendenti attuali sarebbe crudele. Loro fanno battute così: «Marino è un ologramma di partito», dice uno; «Che devo fare per perdere? Allearmi con Rutelli», dice l'altro (che poi quando vincerà, perché vincerà, i confronti con un sindaco come Rutelli gli saranno sconsigliati).

Alemanno deve aver colto il punto e negli ultimi giorni si è messo a snocciolare un elenco di opere pubbliche, in caso di rimonta, da programma ventennale: dalla ricostruzione di Tor Bella Monaca, vecchio progetto galattico da affidare all'architetto Paolo Portoghesi, al tunnel che congiungerebbe l'Olimpico a Fiumicino, venti minuti d'automobile. Sarà verissimo, ma qui si era rimasti all'idea del Gran Premio di Formula1 all'Eur, o alla ricostruzione di Roma Imperiale in periferia, rimasti meno di un'ipotesi. L'aria è che nulla possa far colpo, tantomeno le faraoniche ambizioni ora che si mette insieme pranzo e cena con meno disinvoltura.

Ma l'esigenza di recuperare ha imposto ad Alemanno la gragnuola di promesse, comprese le più popolari. Si è sentito: chiusura di tutte le buche in cento giorni, vigile di quartiere in tutti i quartieri, militari di periferia in tutte le periferie, azzeramento delle liste d'attesa negli asili nido, concordato per le multe.

Ora il rischio è che il nostro dilungarsi sul candidato del centrodestra passi per accanimento partigiano. Il problema è che nel frattempo Marino tace. Qualcuno deve avergli fatto notare che il cospicuo vantaggio, aprendo bocca, può soltanto essere dilapidato. Specialmente se, quando la apre, dalla bocca escono cose così: «Siamo contro ogni violenza».

Oppure: «Mancano poche ore alla liberazione di Roma». Abbiamo scritto liberazione con la «l» minuscola anche se alla solita tentazione non hanno resistito: cacciando Alemanno dalla Garbatella all'urlo di «via i fascisti», la sinistra ha riprovato l'exploit del 2008, quando lo sciagurato Massimo D'Alema rovinò Rutelli gridando alla «marea nera».

Non basterà. Il saggio Marino non parla, rimane alla larga, cede per dovere al confronto in un Campidoglio trasformato nello studio di Passaparola. Dunque: Klose è biancazzurro o giallorosso? Chi erano i sette Re di Roma? La piazza di Michelangelo che diventa un po' Las Vegas, roba che i romani - come faceva Alberto Sordi alla mostarda in Un Americano a Roma - la danno alle cimici.

 

 

Valsecchi Ignazio Marino Alessandra Fiori Valsecchi parla agli ospiti Pietromarchi e dolce meta Tre deliziose fanciulle Marino ascolta Valsecchi Matteo Garrone Pucci Romano con il compagno e Ignazio Marino Marco Muller Liliana Cavani De Sica Croppi e Marino Marco Bellocchio

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