bettini schlein berlinguer

BETTINI, LEZIONE DI POLITICA DEDICATA A ELLY SCHLEIN - ''ENRICO BERLINGUER E' STATO UNA GRANDE ÉLITE DI AZIONE E DI PENSIERO, IN GRADO DI STARE IN MEZZO AL POPOLO, PERCHÉ HA SAPUTO INTERPRETARE IL SENSO DELL’EPOCA E INDICARE UNA STRATEGIA - 'TORNARE AL POPOLO' PER FARE UN MERO ESERCIZIO DI PROPAGANDA SERVE A POCO. PARADOSSALMENTE OGGI LA SINISTRA PERDE PERCHÉ PRIVA DI QUESTO TIPO DI ÉLITE - IL CAMPO LARGO? SOLO L’UNITÀ DELLE FORZE D’OPPOSIZIONE SCONFIGGERA' MELONI - IL COMPROMESSO STORICO FALLÌ PERCHÉ SOVIETICI E STATI UNITI VEDEVANO IL PCI COME..."

Tommaso Rodano per “il Fatto quotidiano” - Estratti

 

Goffredo Bettini, il film su Berlinguer le è piaciuto?

GOFFREDO BETTINI

È bello. Per la prima volta un film ripercorre il suo pensiero politico in modo rispettoso, efficace, sobrio. L’unico appunto: la discussione nella Direzione del Pci è un po’ artefatta, bozzettistica. In particolare, la figura di Ingrao.

 

Luciana Castellina ha definito il Berlinguer del film un “santino”, quasi un dirigente del Partito Liberale.

Non sono d’accordo. Nel film è in evidenza una frase di Berlinguer che per me racchiude l’essenza della sua missione politica.

 

germano berlinguer

Quando parla – vado a memoria – della necessità di introdurre elementi di socialismo nella società italiana. Attraverso la democrazia, dice, il Pci vuole costruire una società socialista che rispetti tutte le libertà tranne una, quella di sfruttare un altro essere umano. Perché questa libertà, tutte le altre vanifica. Come si fa a definirlo un liberale?

 

E un santino?

berlinguer la grande ambizione

Anch’io ritengo insopportabile la trasformazione di Berlinguer in un santino, buono per tutti. È stato un difensore estremo delle istituzioni democratiche, ma era un uomo di parte: fino all’ultimo è rimasto un comunista italiano che voleva cambiare i rapporti di forza profondi. Alla festa dell’Unità di Genova nel ’77, in questo senso, spiega perché il Pci non si sarebbe mai potuto definire socialdemocratico.

 

Lei come ha vissuto il compromesso storico?

goffredo bettini. foto mezzelani gmt028

Ero un dirigente della Fgci romana con Borgna, Veltroni, Adornato, Giulia Rodano. Eravamo irrequieti e creativi (sorride). Eppure accettammo la proposta, capendone la portata. Non scaturiva solo dal timore di un colpo di Stato di tipo cileno da parte dei fascisti.

 

Quella strategia partiva dalla convinzione che, proprio per cambiare gli assetti sostanziali della società italiana, servisse un consenso popolare amplissimo, come argine ai possibili contraccolpi. Era questa la sua “grande ambizione”. Dopo la morte di Moro, secondo me avvertì amaramente che era stata un’illusione: portare tutta la Dc dentro questo processo.

giorgio napolitano con enrico berlinguer al mare all isola d elba el 1978

 

Era possibile spaccarla?

Credo di no. Moro intendeva aprire nuove vie, senza tuttavia mettere mai in pericolo l’unità della Dc.

 

Il compromesso storico fallì per questo motivo?

Per tante ragioni, ma il quadro internazionale fu decisivo. I sovietici erano diffidenti rispetto a qualsiasi assetto mettesse in discussione la tenuta del mondo comunista. Vedevano il Pci come fumo negli occhi. Allo stesso modo, gli Stati Uniti pensavano che il Compromesso storico fosse una sorta di cavallo di Troia dei comunisti, per cambiare gli equilibri in Occidente. Certo non fu un intervento di tipo cileno, ma fecero le pressioni necessarie. Berlinguer fu un gigante nel manovrare in mezzo a queste due forze avverse così più potenti di noi.

 

goffredo bettini foto mezzelani gmt021

Ma, appunto, con la venuta meno di Moro perse il suo ultimo appiglio. Ricordo una frase che mi disse in quelle ore Chiaromonte, il suo numero due: “Senza Moro, Berlinguer non si fida più di nessuno”.

 

In sala ho visto tanti giovani.

enrico berlinguer

Penso che i giovani siano colpiti non tanto dalla complessità del Berlinguer politico, piuttosto dall’esempio che vorrebbero ritrovare oggi. Un esempio di coerenza, di dedizione, di integrità: la corrispondenza tra ciò che si dice e i comportamenti, la vita che si conduce.

 

(...)

 

 

Crede ancora al campo largo?

Il termine “campo largo” non lo uso più, perché è stato frainteso. Ma credo nell’unità delle forze d’opposizione e nella possibilità di sconfiggere Meloni con la proposta di una società migliore. Tanto più dopo la vittoria di Trump. Ma trovo confusa la discussione dopo le elezioni americane. Ci vuole più tempo per capire. Trovo semplicistica, tuttavia, la contrapposizione tra élite e il popolo che soffre.

 

Non è così?

ELLY SCHLEIN

Cosa sono quelle che chiamiamo élite? Oggi si intende una stratificazione sociale molto ampia: la borghesia medio-alta che ha beneficiato della globalizzazione e con la quale, anche per certi comportamenti, siamo stati confusi. Ma la vera élite è un’altra cosa. Significa “i migliori”, i più colti, che sanno interpretare il senso dell’epoca e indicare una strategia, dando anche l’esempio. Paradossalmente, la sinistra perde perché priva di questo tipo di élite.

 

Berlinguer era élite?

goffredo bettini foto mezzelani gmt026

In questo senso, sì. Il gruppo dirigente del Pci è stato una grande élite, di azione e di pensiero, in grado di stare in mezzo al popolo, di migliorare con il popolo e, allo stesso tempo, di contribuire a renderlo più cosciente. “Tornare al popolo” per fare un mero esercizio ginnico di propaganda serve a poco. Occorre pronunciare parole sincere, ragionate e che pesano circa i problemi materiali di chi fatica e stenta. Indicando, contemporaneamente, una speranza e un possibile riscatto.

elly schlein

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