AGNELLI BLUFF - DOPO LA COLATA DI MELASSA BY DE BORTOLI PER IL DECENNALE DELLA MORTE DELL’AVVOCATO, FELTRI NE RISCRIVE IL (FALSO) MITO: PIÙ CHE IMPRENDITORE, UN “PRENDITORE” (DALLO STATO) “CHE COMINCIÒ A LAVORARE A 45 ANNI”, “RICEVETTE DAL NONNO UNA STUPENDA FABBRICA DI AUTOMOBILI CHE RIDUSSE A UN ROTTAME” E “FU SOSPETTATO DI AVER SOTTRATTO AL FISCO UNA PARTE DI CAPITALI” - COSA CI LASCIA IL SIGNOR FIAT? L’OROLOGIO SUL POLSINO E LA CRAVATTA SUL PULLOVERINO…

1 - GIANNI AGNELLI: LA COMMEMORAZIONE
Lettera di Carlo Moretti al "Corriere della Sera"

Gentile Direttore, ho letto oggi l'articolo da lei firmato «Agnelli interprete del novecento rimosso» pubblicato sul Corriere del 19 gennaio. Le do atto che nel corso della lettura emergono due criticità: la visione imprenditoriale legata a fatti più di tradizione che di mercato, con le conseguenze che abbiamo visto, e il non aver colto il cambiamento dell'imprenditoria italiana.

Quello che credo abbia trascurato è l'aspetto etico: ci ricordiamo tutti che, durante Mani Pulite, Gianni Agnelli è stato fra i pochi imprenditori che hanno avuto la facoltà di «non» sapere quello che la propria impresa avesse fatto in tema di corruzione e ciò ha lasciato basiti i piccoli e medi imprenditori.

Inoltre, dopo la sua morte, è emerso che Agnelli è stato il più grande evasore fiscale dei nostri tempi. In un momento in cui la lotta all'evasione fiscale è al centro dell'attenzione, questo aspetto, più di ogni altro, deve essere messo in luce e biasimato con la dovuta veemenza. Proprio per questo motivo credo che il presidente della Repubblica dovrebbe astenersi dal presenziare alla messa di commemorazione di Gianni Agnelli, in segno di rispetto alle istituzioni che ogni giorno si adoperano a combattere gli evasori. Solo così si dimostrerebbe che l'Italia di due pesi e due misure è finita!

2 - OROLOGI E FIAT IL FALSO MITO DELL'AVVOCATO
Vittorio Feltri per "il Giornale"

Sono passati dieci anni dalla sua morte, ma di lui si parla ancora, naturalmente bene, checché ne dica Ferruccio de Bortoli, che sul Corriere della Sera lo ha commemorato con una prosa stranamente accorata per uno che di cuore ne ha poco e, di solito, nasconde anche quello. Gianni Agnelli comunque è stato un grande: un grandissimo bluff, ed è giusto non venga dimenticato. Difatti è passato alla storia come re d'Italia non tanto per ciò che ha dato al Paese, quanto per ciò che ha avuto.

Noi italiani siamo fatti così: cerchiamo di fottere il sovrano per tirare a campare, ma se è lui a fregarci gli riconosciamo volentieri una certa superiorità. Onore al merito, anzi ai meriti, dell'Avvocato che fu promosso tale coram populo senza mai esserlo stato; che cominciò a lavorare a 45 anni, età alla quale i suoi dipendenti andavano in prepensionamento; che presiedette Confindustria inciuciando con Luciano Lama, segretario generale della Cgil, e concordando con lui il punto esiziale di contingenza; che fu nominato senatore a vita grazie all'incosciente generosità di Francesco Cossiga; che prima fondò a Venezia il museo di Palazzo Grassi, poi lo affondò; che ricevette in eredità dal nonno (e da Vittorio Valletta) una stupenda fabbrica di automobili riducendola a rottame, successivamente rimessa in piedi dal fratello Umberto e da Sergio Marchionne.

Un uomo con un simile curriculum sarà ricordato per sempre e sempre sarà lodato. La gente come lui piace assai dalle nostre parti. Piaceva ieri e piace oggi, anche se non c'è più. Amava l'arte,compresa quella contemporanea, per cui era considerato colto; aveva un debole per i giornali e sopportava i giornalisti, per cui godeva (e gode) di buona stampa; non era anticomunista dichiarato, per cui era rispettato dai conformisti di sinistra.

Agnelli più che un imprenditore era un prenditore: lo Stato lo ha sempre aiutato, gli ha dato soldi senza mai pretenderne la restituzione; il popolo lo ha gratificato con la propria ammirazione; i politici davanti a lui erano in soggezione e facevano a botte per farsi fotografare al suo fianco; chi di loro riuscì a farsi invitare a cena a Villar Perosa o altrove lo ha raccontato a cani e porci per gloriarsi.

Già, l'Avvocato, nonostante abbia fallito in ogni campo, perfino in quello di padre (un figlio suicida dopo un'esistenza amara, una figlia che ha intentato causa alla famiglia per questioni di soldi), nonostante avesse fama di tombeur de femmes , e affermasse che l'amore è cosa da cameriere (servitù, insomma), fu elevato agli altari:l'unico santo laico che abbia ancora devoti dalle Alpi alla Sicilia e in ogni strato sociale, fra credenti e miscredenti, indifferentemente.

Quando morì, l'azienda era sul punto di consegnare i libri in tribunale. Il patrimonio personale del maggiore azionista fu cercato all'estero: si sospettava addirittura che una quota di capitali fosse stata sottratta al fisco; si ignora come si sia conclusa l'indagine. Probabilmente bene, cioè con un nulla di fatto, meno male.

La Fiat ha resistito alla burrasca. I nipoti se la sono cavata egregiamente. Gianluigi Gabetti, l'uomo della finanza,ha lavorato benissimo e ha salvato il salvabile, speriamo anche se stesso. Marchionne ha compiuto un miracolo. E Agnelli seguita a essere adorato da tutti. È quello che si dice un mito. Le sue opere memorabili però rimangono queste: l'orologio sopra, e non sotto, il polsino della camicia; la cravatta sopra, e non sotto, il pullover.

 

 

VITTORIO FELTRI UMBERTO E GIANNI AGNELLI LUCIANO LAMA E GIANNI AGNELLI JOHN ELKANN E GIANNI AGNELLI GIANNI E MARELLA AGNELLI NEL GIANNI AGNELLI GIANNI AGNELLI SULLA NEVE GIANNI AGNELLI IN TRIBUNA

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