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ALICRAC! - REFERENDUM INUTILE: AL 31 DICEMBRE LA COMPAGNIA ERA GIA' FALLITA – LE BANCHE CREDITRICI LO SAPEVANO BENE GRAZIE AL CONFLITTO DI INTERESSI DEGLI ANFIBI MONTEZEMOLO E DI COLOMBO: NEL CDA DI ALITALIA, MA ANCHE NEL CDA DI UNICREDIT E DI BANCA INTESA
Edoardo Narduzzi per Italia Oggi
Affidare al voto referendario la soluzione di materie economicamente complesse, Brexit docet, non è la migliore delle strade da percorrere se si vuole raggiungere al meglio il traguardo stabilito. Il caso Alitalia ne è l'ennesima riprova. La società per azioni aveva già bruciato tutto il suo capitale allo scorso 31 dicembre.
Il piano industriale del biennio 2015/2016, con i suoi mancanti obiettivi, aveva già posto l'Alitalia nella condizione prevista dal codice civile per le società che hanno subito perdite che intaccano in maniera significativa il patrimonio netto.
Nell'ultimo biennio, infatti, la compagnia aerea doveva perdere, da piano industriale, 250 milioni di euro ma a consuntivo ha perso ben il 140% in più: 600 milioni. Una corretta rappresentazione della situazione avrebbe dovuto spiegare ai lavoratori, mentre andavano a votare per approvare o meno l'accordo siglato tra i sindacati e l'azienda per sostenere un piano di rilancio triennale, che la loro società aveva già i libri in tribunale. Che votavano anche su questo aspetto, perché il management aveva totalmente fallito gli obiettivi industriali ricevuti dall'azionista.
E perché li aveva falliti nel biennio 2015/2016 quando un minimo di ripresa del pil e del turismo in Italia c'è stata? Al netto di, oggettivamente difficili da quantificare, 100 milioni di minori guadagni per il mancato trasferimento delle compagnie low cost (non Ryanair che già vola da Ciampino) da Fiumicino ad altro aeroporto, il buco da 350 milioni nel patrimonio netto di Alitalia è stata generato da ricavi inferiori alla attese, quindi da politiche di marketing e commerciali inadeguate, e da un contenimento dei costi inferiore agli obiettivi decisi dal consiglio di amministrazione.
Ovvio che, su questa partita, le banche finanziatrici c'entrano poco o nulla, salvo per il fatto che sia Unicredit, con il suo vicepresidente Luca Cordero di Montezemolo e il suo amministratore delegato Jean Pierre Mustier, che Banca Intesa, con il vicepresidente, Paolo Andrea Colombo, sedevano nel cda di Alitalia insieme ai rappresentanti di Etihad e quindi potevano condizionare le scelte dei due amministratori delegati del biennio incriminato: Silvano Cassano e Cramer Ball.
cramer ball luca di montezemolo
Ovviamente non si vuole sostenere che guadagnare quote di mercato in un segmento di business tanto competitivo come quello del traffico aereo sia facile, ma la difficoltà del target incorpora anche il fatto che i manager e gli amministratori delegati sono adeguatamente pagati per realizzare sfide industriali complesse. Spetta a loro conseguire i risultati.
Adesso, ragionando con un minimo di freddezza sulla situazione, si capisce che la strategia delle due banche creditrici non può essere solo quella di stralciare dal bilancio i crediti verso Alitalia per liberarsi della patata bollente che ha evidenti implicazioni anche sociali, soprattutto su Roma e Milano. Il write off è la moda del momento ai piani alti delle banche, perché permette di avere bilanci lindi da presentare agli analisti. Ma non è necessariamente la scelta sempre più lungimirante sul piano industriale, perchè mette la parola fine ad un asset che ha ancora qualche valore (gli stessi slot hanno mercato solo se la società è in bonis).
Immaginare un nuovo piano, con tagli salariali leggermente ridotti, del 5 o del 6%, rispetto a quelli bocciati dai lavoratori è finanziabile dalle due grandi banche italiane e permetterebbe di organizzare un ordinato matrimonio a tendere dell'Alitalia. Prudenza vuole che, quando siedi in un cda, prima di abbandonare la barca che affonda, provi ogni economicamente ragionevole opzione per ridare un futuro all'azienda. Alitalia qualche opzione percorribile ce l'ha ancora.