ALITALIA FOLLIES - DALL’IDEA DI UN GRATTACIELO IRI A NEW YORK AI BIGLIETTI GRATIS: TUTTE LE SPESE DEMENZIALI CHE HANNO DISTRUTTO LA COMPAGNIA DI BANDIERA

Sergio Rizzo per il "Corriere della Sera"

La chiamavano in gergo «biglietteria speciale». Perché davvero speciali erano i biglietti che emetteva. Intanto il costo: zero. E poi i destinatari: tutti Very important person. E tutti rigorosamente in prima classe. Politici, giornalisti, manager.... Ma anche amici e parenti. Perché a un certo punto il privilegio prese a scendere democraticamente i gradini della scala sociale. Quando nel 2004 Giancarlo Cimoli arrivò all'Alitalia per il suo certo non indimenticabile passaggio al timone della compagnia di bandiera scoprì che la «biglietteria speciale» aveva staccato in sette anni almeno quattromila di quegli specialissimi biglietti. Quattromila.

Capiamoci: l'Alitalia non è affondata per un pugno, anche se bello grosso, di biglietti di favore. Ma per capire come una compagnia per cui nel 1987 il presidente dell'Iri Romano Prodi poteva senza suscitare ilarità immaginare una fusione alla pari con British Airways sia ridotta oggi a malato terminale senza più nemmeno «l'unica clinica disposta ad accoglierlo», per ricordare la frase con cui Tommaso Padoa-Schioppa spiegò l'accordo con Air France poi saltato, e dal quale fuggono perfino coloro che avevano giurato di salvarla, si deve partire da qua. Da come la politica, alleata di gestioni talvolta scandalose e sindacati indifferenti alle angosce del conto economico, anno dopo anno prima contribuì a spolparla. Poi a usarla come randello elettorale.

Negli anni in cui l'Iri aveva seicentomila dipendenti e controllava il 70 per cento della capitalizzazione di borsa non era un andazzo tanto raro. Basterebbe ricordare come il progetto di comprare un grattacielo a New York dove piazzare lussuose sedi delle holding di Stato sfumò soltanto per i contrasti fra i vari boiardi. Chi sarebbe finito al primo piano? E a chi, invece, sarebbe toccato l'attico con vista sull'Empire, il Chrysler e le Torri gemelle? Ma quanto a grandeur, l'Alitalia non la fregava nessuno.

Chiamato a officiare la sepoltura della vecchia compagnia di bandiera che aveva passato il marchio a Roberto Colaninno e ai «capitani coraggiosi che lo affiancavano», il commissario Augusto Fantozzi ebbe un ufficio nella gigantesca sede della Magliana, a venti chilometri da Fiumicino, che sarebbe stata troppo grande anche per la General Motors. L'avevano pagata 250 miliardi di lire (quando i miliardi erano miliardi) dopo aver venduto per 90 il palazzo dell'Eur. Una rimessa secca di 160 miliardi, con in più i costi faraonici di un complesso faraonico.

Ma quella era solo una tessera del mosaico. Da lì Fantozzi scoprì che c'erano 60 (sessanta) sedi all'estero. Rimaste aperte per anni, nonostante gli scali coperti dalla compagnia italiana si fossero negli anni miseramente ridotti a una quindicina. Non parliamo di quella londinese di Heathrow, arrivata a stipendiare trecento persone. Ma per esempio di un ufficio in Libia. O in Senegal. O delle due sedi indiane, Mumbai e Delhi.

Oppure degli uffici di Hong Kong, dove non arrivavano più da tempo nemmeno i cargo con il tricolore stampato sulla coda ma c'erano ancora 15 dipendenti e un conto da 1200 dollari da pagare ogni giorno all'hotel Hyatt. Del resto, davanti ai conti degli alberghi l'Alitalia non ha mai fatto una piega.

Come quando pagò per un anno intero seicento stanze negli hotel intorno a Malpensa destinate agli equipaggi che avrebbero dovuto fare base nello scalo varesino. Rimaste ovviamente vuote. E pagò con leggerezza. La stessa leggerezza con cui volava sugli ostacoli il cavallo montato dall'esperto fantino Giuseppe Bonomi: il manager più amato da Umberto Bossi, che quando era presidente dell'Alitalia gareggiava nei concorsi ippici sponsorizzati dalla compagnia di bandiera.

Non l'unica sponsorizzazione, sia chiaro. Il logo dell'Alitalia era stampato sui pettorali dei concorrenti delle marce podistiche di Ostia, campeggiava negli stadi di pallavolo del varesotto, sul giornalino dell'Eur di Roma... Anche quando la crisi era ormai diventata nera, nerissima. Era allora, anzi, che i geni della comunicazione aziendale riuscivano a dare il meglio di sé. Fu pochi mesi prima del tracollo che venne sventata per miracolo la sponsorizzazione di una mostra di abiti di sposa a Tokyo.

Mentre nulla riuscì ad arrestare l'inevitabile doppio restiling della costosissima rivista di bordo Ulisse 2000, famosa per le illustri collaborazioni (non gratuite, immaginiamo) di alcune delle firme giornalistiche più note. Il primo assegnato a una società dell'ex collaboratrice dell'ex gran maestro della massoneria Armando Corona, compensata per il disturbo con 10 mila euro al mese.

Il secondo affidato a una ditta di cui era proprietario per metà l'attore Pino Insegno, che partecipò anche uno spettacolo alla Sala Umberto di Roma con tanto di attori e attrici vestiti da piloti e hostess per festeggiare i sessant'anni dell'Alitalia. Ideona poi replicata a New York, stavolta senza Insegno, per i cinquant'anni del primo volo da Roma.

Il tutto, giusto poche settimane prima che saltasse la vendita ad Air France, che Silvio Berlusconi rivincesse le elezioni e che i suoi «capitani coraggiosi» scendessero in campo per «salvare» la compagnia di bandiera. Di lì a poco, la società di Insegno per il restiling di Ulisse 2000 si sarebbe trovata nella lista dei creditori della vecchia Alitalia, con 77 mila euro. Fianco a fianco con Peccati di Capri, la pasticceria napoletana che forniva i cioccolatini di benvenuto offerti ai passeggeri dell'Alitalia: 3.852 euro. Fossero almeno serviti ad addolcire la pillola...

 

 

alitalia vignettacolaninno alitalia Augusto Fantozzi ind03 gianc cimoliPassera alitalia berlusconi aereo alitaliaGiuseppe BonomiPadoa Schioppa

Ultimi Dagoreport

vincenzo de luca elly schlein nicola salvati antonio misiani

DAGOREPORT – VINCENZO DE LUCA NON FA AMMUINA: IL GOVERNATORE DELLA CAMPANIA VA AVANTI NELLA SUA GUERRA A ELLY SCHLEIN - SULLA SUA PRESUNTA VICINANZA AL TESORIERE DEM, NICOLA SALVATI, ARRESTATO PER FAVOREGGIAMENTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA, RIBATTE COLPO SU COLPO: “DOVREBBE CHIEDERE A UN VALOROSO STATISTA DI NOME MISIANI, CHE FA IL COMMISSARIO DEL PD CAMPANO” – LA STRATEGIA DELLO “SCERIFFO DI SALERNO”: SE NON OTTIENE IL TERZO MANDATO, DOVRÀ ESSERE LUI A SCEGLIERE IL CANDIDATO PRESIDENTE DEL PD. ALTRIMENTI, CORRERÀ COMUNQUE CON UNA SUA LISTA, RENDENDO IMPOSSIBILE LA VITTORIA IN CAMPANIA DI ELLY SCHLEIN…

osama almasri torturatore libico giorgia meloni alfredo mantovano giuseppe conte matteo renzi elly schlein

DAGOREPORT – LA SOLITA OPPOSIZIONE ALLE VONGOLE: SUL CASO ALMASRI SCHLEIN E CONTE E RENZI HANNO STREPITATO DI “CONIGLI” E ''PINOCCHI'' A NORDIO E PIANTEDOSI, ULULANDO CONTRO L’ASSENZA DELLA MELONI, INVECE DI INCHIODARE L'ALTRO RESPONSABILE, OLTRE ALLA PREMIER, DELLA PESSIMA GESTIONE DELL’AFFAIRE DEL BOIA LIBICO: ALFREDO MANTOVANO, AUTORITÀ DELEGATA ALL’INTELLIGENCE, CHE HA DATO ORDINE ALL'AISE DI CARAVELLI DI RIPORTARE A CASA CON UN AEREO DEI SERVIZI IL RAS LIBICO CHE E' STRAPAGATO PER BLOCCARE GLI SBARCHI DI MIGLIAIA DI NORDAFRICANI A LAMPEDUSA – EPPURE BASTAVA POCO PER EVITARE IL PASTROCCHIO: UNA VOLTA FERMATO DALLA POLIZIA A TORINO, ALMASRI NON DOVEVA ESSERE ARRESTATO MA RISPEDITO SUBITO IN LIBIA CON VOLO PRIVATO, CHIEDENDOGLI LA MASSIMA RISERVATEZZA - INVECE L'ARRIVO A TRIPOLI DEL TORTURATORE E STUPRATORE DEL CARCERE DI MITIGA CON IL FALCON DELL'AISE, RIPRESO DA TIVU' E FOTOGRAFI, FUOCHI D’ARTIFICIO E ABBRACCI, HA RESO EVIDENTE IL “RICATTO” DELLA LIBIA E LAMPANTE LO SPUTTANAMENTO DEL GOVERNO MELONI - VIDEO

ursula von der leyen giorgia meloni

URSULA VON DER LEYEN, CALZATO L'ELMETTO, HA PRESO PER LA COLLOTTOLA GIORGIA MELONI - A MARGINE DEL CONSIGLIO EUROPEO INFORMALE DI TRE GIORNI FA, L’HA AFFRONTATA CON UN DISCORSO CHIARISSIMO E DURISSIMO: “CARA GIORGIA, VA BENISSIMO SE CI VUOI DARE UNA MANO NEI RAPPORTI CON TRUMP, MA DEVI PRIMA CONCORDARE OGNI MOSSA CON ME. SE VAI PER CONTO TUO, POI SONO CAZZI TUOI” – LA REAZIONE DELLA SEMPRE COMBATTIVA GIORGIA? DA CAMALEONTE: HA ABBOZZATO, SI È MOSTRATA DISPONIBILE E HA RASSICURATO URSULA ("MI ADOPERO PER FARTI INCONTRARE TRUMP"). MA IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA NON HA ABBOCCATO, PUNTUALIZZANDO CHE C’È UNA DIFFERENZA TRA IL FARE IL "PONTIERE" E FARE LA "TESTA DI PONTE" – IL “FORTINO” DI BRUXELLES: MACRON VUOLE “RITORSIONI” CONTRO TRUMP, MERZ SI ALLONTANA DAI NAZISTI “MUSK-ERATI” DI AFD. E SANCHEZ E TUSK…

elly schlein almasri giuseppe conte giorgia meloni

DAGOREPORT - BENVENUTI AL GRANDE RITORNO DELLA SINISTRA DI TAFAZZI! NON CI VOLEVA L’ACUME DI CHURCHILL PER NON FINIRE NELLA TRAPPOLA PER TOPI TESA ALL'OPPOSIZIONE DALLA DUCETTA, CHE HA PRESO AL BALZO L’ATTO GIUDIZIARIO RICEVUTO DA LO VOI PER IL CASO ALMASRI (CHE FINIRÀ NELLA FUFFA DELLA RAGION DI STATO) PER METTERE SU UNA INDIAVOLATA SCENEGGIATA DA ‘’MARTIRE DELLA MAGISTRATURA’’ CHE LE IMPEDISCE DI GOVERNARE LA SUA "NAZIONE" - TUTTE POLEMICHE CHE NON GIOVANO ALL’OPPOSIZIONE, CHE NON PORTANO VOTI, DATO CHE ALL’OPINIONE PUBBLICA DEL TRAFFICANTE LIBICO, INTERESSA BEN POCO. DELLA MAGISTRATURA, LASCIAMO PERDERE - I PROBLEMI REALI DELLA “GGGENTE” SONO BEN ALTRI: LA SANITÀ, LA SCUOLA PER I FIGLI, LA SICUREZZA, I SALARI SEMPRE PIÙ MISERI, ALTRO CHE DIRITTI GAY E ALMASRI. ANCHE PERCHE’ IL VERO SFIDANTE DEL GOVERNO NON È L’OPPOSIZIONE MA LA MAGISTRATURA, CONTRARIA ALLA RIFORMA DI PALAZZO CHIGI. DUE POTERI, POLITICO E GIUDIZIARIO, IN LOTTA: ANCHE PER SERGIO MATTARELLA, QUESTA VOLTA, SARÀ DURA...