ANDREOTTI (JR) IN THE USA: DIETRO LA MULTA ALLA BRISTOL MYERS, UNA TRAMA DI LOBBY E SOCIETÀ OFFSHORE

Claudio Gatti per "Il Sole 24 Ore"


Diciotto milioni di euro sono una somma insignificante per un gigante biofarmaceutico che nel 2012 ha annunciato un fatturato netto di 17,6 miliardi. L'ottobre scorso, la controllata italiana del gruppo americano Bristol Myers Squibb non ha perciò esitato a pagare quella cifra per chiudere un contenzioso con l'Agenzia delle entrate.

L'unico rischio era il danno reputazionale. E per questo Bms Srl ha fatto tutto in sordina. Nessun annuncio stampa, nessun comunicato agli investitori. Una piccola cifra per chiudere un piccolo incidente. La realtà è però ben altra cosa. Tre sostituti della Procura di Firenze - Luca Turco, Giuseppina Mione e Ettore Squillace Greco - hanno infatti portato alla luce una trama trentennale fatta di società offshore e accordi segreti con Alberto Aleotti, proprietario della Menarini e principale socio commerciale di Bms in Italia.

Una lunga e meticolosa inchiesta condotta dal Nucleo Antisofisticazioni e Sanità di Firenze lascia pensare che questi accordi abbiano permesso ad Aleotti di evadere tasse, accumulando più di un miliardo di euro in vari paradisi fiscali sparsi per il mondo, e alla Bms di ottenere prezzi più alti del dovuto per i propri farmaci, con i conseguenti ricavi aggiuntivi dirottati su controllate estere registrate in Paesi con trattamento fiscale più favorevole. A farne le spese: il sistema sanitario nazionale e i cittadini privati che per decenni avrebbero pagato una sorta di sovratassa né dichiarata né giustificata.

Nell'ultimo bilancio, la multinazionale di base su Park Avenue, a Manhattan, ha minimizzato il tutto spiegando che «nell'ottobre 2012 è stato raggiunto un accordo» e che comunque «le accuse contro l'azienda riguardano sospette attività di un ex dipendente che ha lasciato l'azienda negli anni 90». Il riferimento è all'ex direttore generale di Bms Srl Guido Porporati.

Tempi di prescrizione a parte, Bristol Myers Squibb conta evidentemente sul fatto che i protagonisti della vicenda sono da anni in pensione. Invece c'è un legame diretto con l'attuale vertice della multinazionale newyorkese: l'amministratore delegato del gruppo Bms è infatti un italiano dal cognome pesante, Lamberto Andreotti, il figlio di Giulio, che in quanto responsabile della controllata italiana sul finire degli anni '90 e gli inizi del 2000 fu interessato agli accordi sottobanco con la Menarini.

Documenti sequestrati dai Nas attestano un rapporto personale tra l'attuale Ad della multinazionale e Alberto Aleotti. Quest'ultimo ha infatti seguito con grande attenzione la scalata al vertice della multinazionale da parte del figlio dell'ex primo ministro democristiano recentemente deceduto.
Il primo documento che li riguarda entrambi è un fax che il 16 febbraio 1999 il capo della divisione legale di Bms Europa inviò a uno dei suoi assistenti per fornire «il quadro d'insieme dei rapporti con la Menarini» e «le informazioni necessarie a soppesare la situazione e a partecipare ai relativi colloqui con... Lamberto Andreotti».

Pochi mesi prima, il figlio dello storico uomo politico era appena stato nominato capo della controllata italiana del gruppo, la Bms Srl, e avrebbe dovuto incontrarsi con il suo principale socio commerciale in Italia, Alberto Aleotti.

«Gli accordi con la Menarini sono antichi e penso questo sia dovuto in parte allo stretto rapporto di lavoro sorto fra l'ex direttore generale Guido Porporati e il presidente della Menarini A. Aliotti (sic) e in parte alla capacità che aveva un'azienda italiana di assicurare prezzi accettabili... visti i parametri dettati dai meccanismi di prezzatura vigenti al tempo in Italia», scriveva l'avvocato A.J.W. Jackson.

Il significato di queste parole è reso meno oscuro da documenti che i Nas fiorentini hanno sequestrato negli uffici della Menarini e della Bms Srl. Da questi risulta che per ogni nuovo farmaco da introdurre nel mercato italiano, il gruppo americano prima firmava un accordo di co-commercializzazione nel mercato nazionale con la Menarini e poi affidava ad Aleotti il compito di gestire la procedura di autorizzazione e definizione del prezzo con le autorità sanitarie. Quest'ultimo usava la propria influenza per ottenere una corsia preferenziale e soprattutto strappare il prezzo più alto possibile sia per il farmaco che avrebbe commercializzato la sua Menarini sia per l'equivalente venduto da Bms.

Il tipo di "influenza" in questione è venuto alla luce in un procedimento penale del tribunale di Napoli per il quale ad Aleotti è stata applicata la pena di un anno e sette mesi di reclusione. Motivo: aveva pagato diversi funzionari del ministero della Sanità - incluso il ministro Francesco De Lorenzo - perché compissero «atti contrari ai propri doveri d'ufficio e consistenti nell'assicurare... una trattazione privilegiata alle pratiche relative ai farmaci».

Più in dettaglio, la sentenza spiega che «Aleotti, titolare dell'industria farmaceutica Menarini, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, consegnava a Vittoria Antonio, componente del Cip farmaci, organismo preposto alla trattazione delle pratiche di revisione prezzi dei prodotti farmaceutici, la somma complessiva di 60-70 milioni circa». Ben più sostanzioso il contributo versato al famoso Duilio Poggiolini che, secondo la sentenza, ricevette da Aleotti un totale di 1 miliardo e 100 milioni di lire nella sua veste di direttore generale del Servizio Farmaceutico del Ministero della sanità.

Oltre ai soldi, in quell'inchiesta Poggiolini rivelò ai magistrati di aver ricevuto anche le pressioni di molti uomini politici, intervenuti per tentare di influenzare le decisioni del ministero della Sanità. Tra questi citò anche Giulio Andreotti. Il quale è passato agli annali della storia dell'industria farmaceutica italiana per essere stato Presidente del consiglio nel maggio 1978, quando il Governo riconobbe per la prima volta i brevetti farmaceutici.

Dalla sentenza del procedimento napoletano emerge inoltre che a pagare il ministro De Lorenzo era stato anche il direttore generale di Bms Srl, Guido Porporati. Che aveva versato 300 milioni di lire per conto della sua e di altre aziende farmaceutiche nordamericane.

Sebbene quelle tangenti siano state versate negli anni '80 e primi '90, secondo la Procura di Firenze il loro impatto sui consumatori e sul servizio sanitario nazionale si è protratto per l'intera durata del brevetto di ogni farmaco. E cioè per due decenni.

Dalla corruzione alla sospetta truffa: gli inquirenti ritengono che per ottenere prezzi più alti del dovuto, Menarini e Bms abbiano perpetrato una sistematica opera di sovrafatturazione dei cosiddetti "ingredienti attivi", le sostanze chimiche alla base dei farmaci. Il metodo è consistito nel creare una rete di intermediari fittizi con sede nell'Isola di Man, in Svizzera, Nuova Zelanda e Honk Kong, attraverso i quali Bms ha fatto per decenni transitare i propri prodotti all'ingrosso. Da questi intermediari che i Nas hanno ritenuto essere stati controllati dallo stesso Aleotti, gli ingredienti attivi venivano poi rivenduti al gruppo Menarini a prezzi gonfiati poi presentati all'autorità sanitaria a riprova del costo di produzione dei farmaci.

Secondo i sostituti di Firenze, Guido Porporati avrebbe «fornito il proprio consapevole contributo causale alla commissione del descritto reato di truffa aggravata e continuata, nell'interesse della società italiana Bms Srl». E, per via della durata dei brevetti, la truffa in questione avrebbe avuto «una consumazione prolungata dal 1984 al 2010».

Il Sole 24 Ore ha chiesto a Bms di rispondere, ma il gruppo farmaceutico americano si è limitato a dire di non poter fare commenti su un'inchiesta in corso, sottolineando però il fatto che sta collaborando con le autorità.

Lamberto Andreotti non è in alcun modo coinvolto nell'inchiesta giudiziaria fiorentina, ma il fax del 16 febbraio 1999 fa dedurre che fosse stato messo al corrente degli accordi di sospetta sovrafatturazione tra Bms e Aleotti: «Per ragioni a voi comprensibili associate... a meccanismi di determinazione del prezzo, i prodotti non sono forniti direttamente alla Menarini ai prezzi indicati», si legge nel fax. «Ci sono invece degli accordi che designano società terze deputate a interporsi nella catena di compravendita di materiale all'ingrosso o di specifici prodotti intermedi».

Negli archivi della Menarini, i Nas hanno trovato un memorandum dal quale risulta che, poco dopo la spedizione di quel fax, in effetti Andreotti incontrò il proprietario della Menarini. I loro nomi sono citati in un promemoria interno come "presenti" all'incontro organizzato con «l'intento di mantenere gli impegni per il futuro al di là delle persone che saranno il riferimento» e per «andare al di là dei rapporti personali passati, per garantire la continuità».

«La Bms aveva piena consapevolezza del sistema di approvvigionamento creato con la Menarini», ci conferma un ex alto dirigente di Bms Srl. «Io stesso tenevo due libri contabili, uno ufficiale che riportava i prezzi maggiorati degli ingredienti attivi e dei prodotti all'ingrosso in modo che potessero poi essere dedotti a fini fiscali in Italia, e uno a scopo interno, condiviso solo con il quartier generale di New York, che serviva a stabilire le performance infra-gruppo. E, cosa ancor più importante per noi, per i bonus di fine anno».

Nel giugno del 2011 Alberto Aleotti ha saldato con la cifra record di 330 milioni di euro il contenzioso che aveva aperto con l'Agenzia delle Entrate dopo che gli erano state accertate imposte evase per circa mezzo miliardo. E adesso è sotto processo presso il Tribunale di Firenze per truffa aggravata ai danni dello Stato.

Lamberto Andreotti e la sua Bms se la sono invece cavata con molto meno: una multarella da 18 milioni.

 

 

LAMBERTO ANDREOTTI DI BRISTOL MYERS SQUIBBBRISTOL MYERS SQUIBBALBERTO ALEOTTIATTILIO BEFERALamberto Andreotti I FRATELLI ALBERTO GIOVANNI E LUCIA ALEOTTI FRANCESCO DE LORENZO MENARINIbristol-myers-squibb

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