CACCIATE I SOLDI! - PER DE RITA (CENSIS) GLI ITALIANI SONO PIENI DI RISPARMI, MA HANNO PAURA DI SPENDERLI: “BASTA PUNIRE IL PATRIMONIO PRIVATO CON LE TASSE, BISOGNA INCORAGGIARE LE SPESE”

Luisa Grion per “la Repubblica

Giuseppe De Rita Giuseppe De Rita

 

Aspettando il «cambiamento » e la grande «svolta», l’Italia torna a mettere i soldi sotto il materasso. Negli ultimi sette anni, quelli della crisi, il valore di contanti e depositi bancari è aumentato di 234 miliardi. Quello che c’è non si consuma, tantomeno si investe, fa notare il Censis. Il suo presidente,Giuseppe De Rita, la definisce «una lucida strategia di sopravvivenza » dove «si resta liquidi per paura di quello che verrà e si tira a campare augurandosi di non essere disturbati più di tanto ».

 

Non sembra il modo migliore per far ripartire un’economia.

«Non lo è infatti, ma questo atteggiamento dimostra una volta in più che lo sviluppo non si crea se non ritorna la fiducia. E per ritrovare la fiducia dobbiamo partire da una constatazione: per quanto ci riguarda, un modello funzionale allo sviluppo è quello che vigeva nell’Italia degli anni 60-70. Fatto di microeconomia, di piccole aziende, di pensionati sessantenni che ripartivano con un’idea d’impresa in testa. Allora c’erano laboratori che crescevano come funghi e poi si trasformavano in piccole aziende; ragazzi che lavoravano e allo stesso tempo studiavano. Per tornar alla crescita bisogna ripartire da lì: questo non è il Paese delle cruenti svolte, qui si procede per transizioni».

Giuseppe De Rita Giuseppe De Rita

 

E’ una critica al governo Renzi? I cambiamenti cruenti e le rottamazioni promesse non funzioneranno?

«Gli italiani sono sempre stati attratti dall’idea della grande svolta. Ne sono state annunciate tante, da Craxi a Renzi, passando per Segni. Lo stesso Berlusconi ne ha lanciate almeno tre. E’ normale che un governo politico vi faccia ricorso perché l’idea in sé seduce, crea attesa.

 

Ma allo stesso tempo innesca un meccanismo di difesa e fa riaffiorare la paura di diventare poveri. Se la riforma non produce effetti immediati ma procede per proclami — come avviene per quella del Senato, per la pubblica amministrazione e il Jobs act — ci si ferma, si torna al liquido, con l’obiettivo di avere meno problemi e di pagare meno tasse. Il risultato è che il capitale diventa inagito».

 

Il modello di sviluppo di cui lei parla gonfiò però il debito pubblico. Ha ancora senso riproporlo?

«Quell’idea di sviluppo costava troppo allo Stato italiano, non vi è dubbio. Il modello cresceva sfruttando la spesa pubblica quindi va rivisto è corretto, ma non è da buttare. Anche perché garantiva, rispetto a quello attuale, un equilibrio migliore, più vicino al senso della vita. Ecco direi che abbiamo urgente bisogno di una politica economica che dia fiducia e incorpori il senso della vita».

RENZI PADOANRENZI PADOAN

 

Obiettivo ambizioso, come si realizza?

«Bisogna premiare la voglia di fare e non punire, come sta succedendo, chi ha messo in piedi un piccolo patrimonio. L’esempio sulla seconda casa è esplicito: il fisco la considera una ricchezza, senza ricordare che nella stragrande maggioranza dei casi, in Italia, si tratta di eredità ricevute dalla famiglie di provenienza. Non sono un lusso, ma una radice, una boccata d’ossigeno, non vanno trattate con atteggiamento punitivo.

 

Quei piccoli patrimoni vanno protetti, incentivandone il rinnovo. Ridiamo un senso alle periferie urbane, aiutiamo fiscalmente chi vuole rifare il tetto della casa in campagna. Se si danno degli incentivi per adeguare l’abitazione ai criteri antisismici, le famiglie non aspetteranno più l’intervento dello Stato: tireranno fuori i soldi dal materasso e ci penseranno da soli, migliorando l’economia e anche la loro vita».

TASSA SULLA CASA jpegTASSA SULLA CASA jpeg

 

Imu, Ici, Tasi: tutto sbagliato allora?

«Sono contrario da sempre alle patrimoniali e alla tassazione sulla casa, usata per fare cassa e senza considerare che a forza di tassare il patrimonio, si finisce per distruggerlo. E’ arrivato il momento di pensare più alla microeconomia che alla macro. Anche perché su quel fronte possiamo fare ben poco: Bruxelles e le regole sul debito ci controllano a vista».

 

Il Censis dice che nelle famiglie la liquidità è aumentata. Ma se le aziende, le fabbriche, i negozi chiudono da dove arrivano questi soldi?

«Dalla mancata spesa delle famiglie e dai mancati investimenti delle piccole imprese: per paura del cambiamento annunciato mettono da parte i fondi, piuttosto che utilizzarli. E poi lì dentro c’è una bella fetta di lavoro in nero, fenomeno in crescita rispetto agli anni precedenti la crisi. Credo sarebbe meglio riconsiderarne il peso nel Pil, piuttosto che aumentare la ricchezza tenendo conto della prostituzione».

 

negozi chiusi negozi chiusi

 

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